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Il calore umano del pane caldo ai tempi del coronavirus. Diario della quarantena

Il "Diario della quarantena" a cura di Carla Falconi tratto dal suo profilo Facebook

Giorno 49.

Caro diario, se è vero che ogni uomo è una somma di abitudini, come dice anche Camus proprio nella Peste, io sono la somma di migliaia di cappuccini e cornetti che prendo tre o quattro volte al giorno, ogni giorno. Il latte mi rilassa e mi placa, il cornetto, quello buono, mi piace e mi appaga più di un bel piatto di pasta.

In 49 giorni di quarantena quindi ho dovuto rinunciare a 147 cornetti e 147 cappuccini. Questo rito quotidiano, (seconda colazione al bar sotto casa, ricreazione di metà mattina e pranzo, più una merenda facoltativa se trovo ancora cornetti commestibili) si è interrotto bruscamente intorno al dieci marzo insieme a tante altre cose ed è stato sostituito dalle crostatine con la marmellata di visciole del forno vicino casa.

Nelle ore più buie della quarantena, il calore del piccolo forno e il profumo del pane erano il segno di una immensa umanità e di una grande civiltà che sarebbe andata avanti comunque.

Più dei capolavori conservati nei musei, più delle grandi parole scritti nei libri da leggere sul divano, il pane mi trasmetteva calore umano, era la prova della capacità di sopravvivere. Mia e del mio mondo.

Tra le scuse per uscire casa, infatti, “vadoacomperareilpane” è quella che ho usato di più.

Sarò anche ingrassata, non ne sono sicura perché non ho bilance, ma ne è valsa la pena.

Ho mangiato molte crostatine e quasi ogni giorno ho avuto il pane fresco a tavola, cosa che prima non succedeva, per ragioni di tempo e perché nel supermercato il pane non ha lo stesso profumo.

E sento già nostalgia di quelle ultime fredde giornate di marzo in cui andavo a prendere il pane.

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