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Le Idi di marzo a Londra: Lemain per Corbyn, Brelay per May?

Il punto di Daniele Meloni

In attesa delle Idi di marzo, Londra si crogiola nel suo freakish February, il “febbraio pazzo”, che ha visto ieri, ai Kew Gardens, registrare la temperatura più alta di sempre: oltre 21 gradi centigradi. L’inverno dello scontento della Brexit, si sta trasformando nella primavera della politica britannica nella lobby di Westminster, dove la temperatura è salita già da tempo. Scissioni, nuovi gruppi parlamentari, MPs che corrono da una parte all’altra dell’imponente edificio nell’intento di far firmare emendamenti e mozioni, mentre il countdown verso il 29 marzo è già iniziato.

Ieri, dopo un consiglio dei ministri che poteva essere potenzialmente letale, il premier conservatore, Theresa May, si è presentato ai Comuni dove ha ribadito che il 12 marzo si voterà sul suo Brexit Deal, e che, se come a gennaio, sarà battuta, allora nei giorni successivi si voteranno altre due opzioni: quella che esclude il “no deal”, cioè l’uscita del Regno Unito dalla Ue senza alcun accordo, e il potenziale rinvio della data di uscita di Londra dall’Unione. Il 15 marzo – alle Idi di marzo per l’appunto – dovremmo avere più chiara la situazione sulla Brexit. Almeno per i prossimi mesi.

L’altro grande avvenimento politico della settimana si è materializzato in casa laburista. Il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, ha annunciato che il Labour sostiene un secondo referendum sulla Brexit.

Il portavoce del partito sulla Brexit, Keir Starmer, ha affermato che, in caso di seconda consultazione, l’opzione dovrebbe essere tra l’accordo siglato da May e “Remain”, e che il Labour vuole evitare una disastrosa uscita dall’Unione senza alcun accordo o con l’accordo – a loro avviso pessimo – ottenuto dai Conservatori. Molto dipenderà da quanto succederà ai Comuni sui voti annunciati dal premier, anche se sembra che Corbyn punti più che altro a evitare un’ulteriore emorragia di parlamentari dal suo gruppo verso il neonato The Independent Group. Alcuni istituti demoscopici hanno rilevato che 35 dei 50 seggi che mancano al Labour per avere la maggioranza assoluta in Parlamento sono in constituencies che hanno votato per il Leave al referendum del 2016. In quelle zone i laburisti sono il secondo partito dietro ai Tories, e la scelta di Corbyn sembra fare poco per ribaltare la situazione. D’altronde, se la Brexit ha esasperato le divisioni interne al partito Conservatore, anche in casa laburista si deve fare i conti con un elettorato europeista nelle grandi città – specie al sud – e un elettorato brexiteer nelle contee post-industriali dell’Inghilterra del nord.

Messi ai margini dagli ultimi sviluppi, i duri e puri della Brexit sembrano destinati a dovere accettare obtorto collo il May Deal o un rinvio del loro obiettivo storico. Nigel Farage, che ha recentemente formato il nuovo Brexit Party nell’intento di recuperare consensi (e di essere, un giorno, eletto a Westminster), ha affermato che in caso di secondo referendum nei termini espressi da Starmer si rifiuterà di fare campagna elettorale. Ma se l’eventuale secondo appuntamento con la storia è al momento un’ipotesi ancora lontana nel tempo e remota nella realtà, molto più vicine sono le elezioni per il Parlamento Europeo del maggio prossimo, alle quali, in caso di rinvio della Brexit, parteciperanno anche i partiti britannici. C’è da scommettere che, in caso di buon risultato del Brexit Party – che con il sistema proporzionale è tutt’altro che da escludere – Farage, Rees-Mogg, Johnson ritroveranno parole e modi per sostenere una cesura ancor più netta di Londra da Bruxelles.

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