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I vegetariani non sono una setta

“Vegetariani. La storia italiana. Dal 1900 ai nostri giorni” (Slow Food) letto da Tullio Fazzolari

Con “Il primo gradino” Lev Tolstoj descrisse le atrocità della macellazione. E per compassione verso gli animali decise di nutrirsi solo con legumi, verdure e pane. Ben prima di lui la stessa scelta l’aveva fatta san Francesco di Paola. Ma i motivi per cui si decide di essere vegetariani non si limitano all’amore per gli animali. Si rifiuta di mangiare carne perché profondamente convinti che sia la cosa migliore per la salute, l’igiene e perfino l’equilibrio ambientale. In altre parole, non è soltanto una scelta nutrizionale ma uno stile di vita e una cultura. Alberto Capatti, stimato storico della gastronomia italiana, ne racconta l’evoluzione con “Vegetariani. La storia italiana. Dal 1900 ai nostri giorni” (Slow Food, 256 pagine, 18 euro).

Per gli antesignani non è stato facile essere vegetariani. Agli inizi e per gran parte del XX secolo è stata considerata una scelta individuale un po’ stravagante e addirittura un atteggiamento da snob. E non c’è bisogno di andare tanto indietro negli anni per immaginare scene di grande imbarazzo quando ci si trova a essere ospiti a casa di conoscenti o ad andare al ristorante e il menu prevede rigorosamente solo piatti di carne. Eppure, come racconta Alberto Capatti, la scelta vegetariana sin dalle origini non ha nulla di stravagante. Al contrario, i pionieri non cercano un’originalità fine a se stessa ma un modo per difendersi dagli eccessi di una civiltà industriale sempre più aggressiva e sempre meno attenta ai problemi della salute e dell’ambiente. Non a caso la cultura vegetariana nasce in paesi come l’Inghilterra e la Germania devastati dalla proliferazione di fabbriche e miniere. Gli inizi in Italia avvengono grazie a persone che non è inesatto definire “comuni”: Fortunato Peitavino, meccanico idraulico di Imperia, che dopo la morte della moglie chiude l’officina e sceglie di vivere nella natura della campagna; Attilio Romano, già disegnatore industriale, che diventa il maggiore esperto nella progettazione di ambienti più salubri e ben aerati.

Ai pionieri si affiancano presto medici e scienziati che con solide argomentazioni sostengono le buone ragioni del vegetarismo. Neppure questo basta a scongiurare un clima di ostilità e diffidenza.

Negli ambienti cattolici, nonostante l’adesione di numerosi prelati, i vegetariani sono spesso visti come una setta pericolosa. Non mancheranno poi altre difficoltà. In guerra o anche durante il servizio militare i vegetariani si trovano di fronte ai 200 grammi di carne in scatola. Ma forse il pericolo più grave è stato il consumismo creato dalla sensazione di un nuovo benessere. Mangiare carne tutti i giorni diventa quasi uno status symbol negli anni del boom. E come tutti gli eccessi produce effetti nefasti per la salute.

Le associazioni vegetariane (di cui Capatti racconta nascita e storia) lo avevano predetto. Di sicuro bastava mangiare un po’ meno carne però è altrettanto che si può vivere benissimo senza mangiarne affatto. E questo non esclude che ci siano comunque grandi soddisfazioni per il palato. La conferma sta nel fatto che tra i ristoranti italiani che si fregiano della mitica stella Michelin ce n’è uno completamente vegetariano.

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