Dopo vent’anni al potere, la vittoria del presidente turco Erdogan è incerta. A ottobre la Turchia, erede dell’Impero Ottomano, festeggia i cento anni. Sarà ancora al potere? I sondaggi lo danno perdente, o in vantaggio di poco, un margine molto sottile.
Ma alle elezioni della prossima domenica potrebbe essere rieletto grazie all’appoggio dei Deutschtürken, i turchi che vivono in Germania. Sono oltre tre milioni, e la metà, oltre un milione e mezzo ha diritto al voto. E un milione ha il doppio passaporto, e votano anche come tedeschi. Per anni, compatti contro Frau Merkel, colpevole di non volere la Turchia nell’Unione europea. Hanno già votato per lettera dal 27 aprile fino ad ieri.
Sono integrati, hanno diversi deputati al Bundestag, che militano in ogni partito, tranne che per l’AfD all’estrema destra. Cem Özdemir è ministro agricoltura. Un loro regista, Fatih Akin, nato a Amburgo, ha vinto il Festival di Berlino con La Sposa turca (2004), e loro scrittori nati in Germania scrivono bestseller in tedesco.
Vivo a Berlino, tra i turchi, 200mila circa su 3,5 milioni di abitanti. Credevo fossero perfettamente integrati, ma a causa di Erdogan hanno ritrovato l’orgoglio nazionalista, sopito non cancellato, e sognano il ritorno a una Grande Turchia. Trent’anni fa vedevo ragazze turche in minigonna, ora le loro figlie sfoggiano di nuovo il Kopftuch, il velo islamico, segno di oppressione maschile, ma molte di loro sostengono che sia un simbolo patriottico.
I turchi di Germania nel 2018 hanno votato al 65 % per Erdogan (la partecipazione fu del 45%). Nella Ruhr la percentuale è stata del 75. Anche i giovani sono per lui. In patria invece tra i 18 e i 25 anni appena il 18% vorrebbe la sua riconferma. Quest’anno, il presidente per motivi di salute non è venuto a far campagna elettorale a Berlino o a Colonia, dove sorge la moschea più grande d’Europa, e non ha mandato neppure uno dei suoi ministri. Ma i suoi sostenitori sono attivi come non mai. Sarebbe vietato alle comunità straniere fare propaganda politica, ma si chiude un occhio se non si esagera.
A Norimberga sono apparsi alle cantonate 25 enormi cartelloni con Erdogan, mano sul cuore, e lo slogan in turco: «L’uomo giusto al momento giusto». A causa delle proteste, i cartelloni sono scomparsi.
È un paradosso, ma a parteggiare per Erdogan che chiamano «il nostro superpadre», sono soprattutto le donne, benché lui sia un tradizionalista religioso. Cinque anni fa, il suo partito l’Akp ha perso la maggioranza assoluta, e Erdogan, 69 anni, è riuscito a vincere solo grazie all’appoggio dei partiti dell’estrema destra. I diritti delle donne non sono tutelati, vent’anni fa le deputate al parlamento di Ankara erano due, oggi sono 17, sempre poche. Ogni giorno in Turchia viene uccisa una donna.
I tedeschi non amano Erdogan. Si illudono che via lui la Turchia diventerebbe libera e democratica, come la Russia se venisse fatto fuori Putin.
Ma la Turchia non è solo Istanbul, metropoli europea, e la Russia non è solo Mosca o San Pietroburgo. Erdogan sarà un despota, ma si destreggia tra l’Occidente e Putin con cinico opportunismo. E, anche grazie ai miliardi ricevuti dall’Europa ospita quattro milioni di profughi siriani.
Cosa avverrebbe senza lui?
Domenica si vota dopo il tragico terremoto di febbraio, e i turchi danno la colpa a Erdogan, non per il sisma, ma per la corruzione colpevole dei palazzi costruiti senza rispettare le regole. Il paese attraversa una grande crisi economica, l’inflazione scende ma resta sopra il 50%. Il successore di Erdogan potrebbe essere Kemal Kilicdaroglu, economista di 75 anni, di famiglia modesta, terzo di sette fratelli. «Riporterò la Turchia alla democrazia», ha promesso. In base ai sondaggi, batterebbe Erdogan per 48% a 43%, ma contano i piccoli partiti delle rispettive coalizioni. È un alevita, la religione che conta tra i 18 e i 23 milioni di fedeli su 85 milioni di abitanti. Sono musulmani ma non fondamentalisti, non digiunano durante il Ramadan, non vanno in pellegrinaggio alla Mecca, non obbligano le donne a portare il velo, e rispettano la Bibbia come testo sacro. Sono tolleranti ma poco tollerati.