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Dodici Presidenti Alberto Orioli

I presidenti della Repubblica tra corsi e ricorsi storici

“Dodici presidenti” (Il Sole24Ore) di Alberto Orioli letto da Tullio Fazzolari

 

Accade in Italia che un presidente della Repubblica venga ricordato soltanto per un francobollo sbagliato, il cosiddetto “Gronchi rosa”. O che un altro capo dello Stato, Luigi Einaudi, sia citato soprattutto per essere stato uno dei più grandi economisti del Novecento. Ma ben poco si rammenta di quanto fatto nei sette anni che hanno trascorso al Quirinale. Così come quasi dimenticati sono i dibattiti o meglio gli scontri politici che hanno preceduto l’elezione di ciascun presidente.

Chi si ricorda, per esempio, che ci vollero addirittura dieci giorni di estenuanti e inutili votazioni prima di arrivare alla proclamazione di Sandro Pertini? O che in ben tre casi il mandato presidenziale è durato meno dei sette anni previsti dalla Costituzione?

“Dodici presidenti” di Alberto Orioli (Il Sole24Ore, 340 pagine, 16,90 euro) arriva nel momento più opportuno per restituirci memoria storica di quanto avvenuto a partire dal 1946. Il conto alla rovescia per l’elezione del prossimo capo dello Stato è praticamente già iniziato e, da qui all’ultima settimana di gennaio, le cronache politiche parleranno incessantemente di candidature e di maggioranze più o meno probabili. Ma se non si conosce il passato si rischia di non capire il presente.

Il libro di Orioli, fra i tanti che sono stati pubblicati nell’imminenza delle votazioni per il Quirinale, è quello che meglio ricostruisce tutta la storia dell’Italia repubblicana. “Dodici presidenti” non è soltanto le biografie di altrettanti capi dello Stato, da De Nicola a Mattarella, ma la cronaca dettagliata delle vicende della politica italiana.

L’interesse aumenta quando, leggendo il libro di Orioli, emerge che questioni considerate tuttora di attualità sono in realtà aperte da tempo. Recentemente s’è parlato di introdurre il limite di un solo mandato per il presidente della Repubblica. Il che non sarebbe irragionevole considerata la durata di ben sette anni nettamente superiore a quella di capi di Stato di altri paesi. Ma non è la prima volta che se ne parla. La necessità di vietare un secondo mandato era già stata manifestata proprio da due presidenti, Antonio Segni e Giovanni Leone, non a caso entrambi di formazione giuridica. Altro tema che periodicamente ricompare è a chi il capo dello Stato debba conferire l’incarico di formare il nuovo governo all’indomani delle elezioni politiche. Una regola scritta non c’è. Fu Enrico De Nicola a introdurre alla vigilia delle elezioni del 1948 una prassi dicendo che l’avrebbe affidato al leader del partito di maggioranza relativa. Cosa che all’epoca, con la DC al 48 per cento, sembrava naturale ma che oggi, con nessun partito che s’avvicina al 30 per cento, è assai più problematica.

I due esempi appena citati dimostrano che la ricostruzione storica di Orioli non trascura nessun dettaglio utile a comprendere anche la politica di oggi. Ma anche a capire che il ruolo del presidente della Repubblica è tutt’altro che onorifico. Ed è merito di questo libro riportare integralmente un passaggio fondamentale del discorso d’insediamento di Sergio Mattarella che con l’artificio retorico dei quattordici “significa” ribadiva il compito del capo dello Stato arbitro e garante della Costituzione. Basta rileggere le sue parole e viene spontaneo l’augurio che il tredicesimo presidente sia alla stessa altezza di Mattarella.

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