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Giorgetti

I lievi mea culpa di Conte su Draghi

La conversazione del Corriere della Sera con l'ex presidente del Consiglio, Conte, letta dal notista politico Francesco Damato

 

Poiché la notizia notoriamente non è quella del cane che morde l’uomo ma dell’uomo che morde il cane, la prima tentazione oggi era quella di occuparmi di Piercamillo Davigo. Che una volta tanto è alle prese non con l’imputato di turno, essendo peraltro ormai in pensione, ma con alcuni magistrati per ora interessati a lui come persona informata dei fatti: inevitabilmente informata – direi – perché i fatti riguardano anche l’uso di scabrosi verbali giudiziari di Milano passati per le sue mani e per i suoi uffici quando faceva parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Il cui acronimo solo adesso Marco Travaglio sul suo giornale si diverte a sfottere traducendolo in Consiglio dei sordi e dei muti.

Poi, trattenuto anche – ve lo confesso – dalla paura che ho di Davigo da quando lui stesso ammise una volta in televisione di avere l’abitudine di raccogliere gli articoli che lo riguardano in una cartella intitolata “Per una serena vecchiaia”, scommettendo evidentemente su cause per diffamazione, ho pensato che sia meglio intrattenervi sull’occasione che una volta tanto si è data l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte di parlare per “un’ora” col cuore in mano, o quasi. Ne ha riferito Francesco Verderami sul Corriere della Sera.

Il professore si è lamentato, fra l’altro, dei “partiti”, al plurale, del suo secondo governo che pretendevano furbescamente da lui che sostituisse ministri di cui non erano soddisfatti ricorrendo al cosiddetto “rimpasto”. Di cui al solo parlare, invece, un governo si indebolisce, altro che rafforzarsi.

Conte ha inoltre detto che, più di un complotto, avvertito dai suoi sostenitori più sofferenti, egli è rimasto vittima a Palazzo Chigi di “alcuni settori economici e politici” interessati a “voltare pagina”, di natura sicuramente nazionale, non avendo elementi per sospettare anche “incroci internazionali”. Renzi “può essere che vi sia prestato” col ritiro delle sue due ministre e del suo sottosegretario dal governo, ma forse subendo anche lui, politico a tutto tondo, l’arrivo di un “tecnico” a Palazzo Chigi, per quanto poi si sia vantato della nomina di Mario Draghi.

Su quest’ultimo, da lui rappresentato per impressioni raccolte confidenzialmente come un uomo “stanco” e disinteressato a succedergli, Conte ha riconosciuto di aver potuto usare “parole venutegli male”. Che purtroppo – ma questo non lo ha aggiunto – sono state usate da suoi tifosi come Travaglio per insolentire i cronisti e gli analisti politici che sentivano odore di Draghi a Palazzo Chigi ignorandone deliberatamente la stanchezza, appunto, certificata dal presidente del Consiglio ancora in carica. Che poi Draghi lo stia inverecondamente copiando, come lo stesso Travaglio sostiene continuamente ricorrendo anche a fotomontaggi come quello di oggi sul Fatto, Conte ha onestamente riconosciuto che non è proprio vero, non foss’altro perché il successore dispone di una maggioranza diversa. La quale potrebbe proprio per la sua ampiezza creargli prima o poi problemi che lui stesso però non si augura, riconoscendo che “sarebbe l’Italia a rimetterci se questa esperienza s’interrompesse”. Spero che Travaglio ascolti.

Non una parola Verderami ha strappato a Conte sulle difficoltà del lavoro affidatogli da Beppe Grillo di rifondare il dissestato MoVimento 5Stelle, peraltro in un ginepraio di vertenze anche giudiziarie. Sarà per un’altra volta. Tanto, c’è tempo.

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