Peggiore dell’orrenda strage di 44 anni fa nella stazione di Bologna è stata solo la celebrazione che ha ritenuto di farne il presidente dell’associazione delle vittime, Paolo Bolognesi, con un comizio -più che un discorso- nel quale la matrice neofascista di quell’eversivo attacco alla democrazia italiana è stata usata per avvertirne e denunciarne le propaggini nell’attuale governo. “l’eredità”, ha titolato il manifesto.
La premier Giorgia Meloni da Parigi, reduce da una missione in Cina, per niente quindi “isolata” nel mondo come la dipingono gli avversari in Italia, ha reagito con la durezza che l’attacco meritava, prendendosela non con le vittime -come le ha rimproverato la segretaria del Pd Elly Schlein- ma con chi ne aveva abusato per la polemica di giornata, diciamo così.
Ha scritto bene sulla prima pagina della Stampa nella sua “analisi” il professore Giovanni Orsina, che spero non rischi per questo né la cattedra universitaria né la collaborazione al giornale storico di Torino e poi anche della famiglia Agnelli: “Fin quando la storia d’Italia sarà interpretata e strumentalizzata politicamente come ha fatto ieri Paolo Bolognesi, Presidente dell’Associazione familiari delle vittime di Bologna, non potremo mai sperare di riuscire a metabolizzare il nostro passato. E fino a quel momento -ha insistito Orsina- sarà pure impossibile chiedere con un minimo di credibilità a Giorgia Meloni e al suo partito di recidere i residui fili emotivi che ancora li legano alle vicende del neofascismo, perché sarà loro fin troppo facile sottrarsi accusando i propri accusatori di disonestà intellettuale e faziosità”.
Di opposto e purtroppo significativo tenore è quell’”oltraggio a Bologna” rimproverato alla Meloni dall’ancora gemella della Stampa, che è la Repubblica, e rafforzato in un editoriale di Massimo Giannini il cui titolo basta da solo a capirlo: “Quei camerati schiavi del passato”. Nei cui “album di famiglia” – per ripetere un’immagine usata da Rossana Rossanda ai tempi delle brigate rosse, nel 1978, per lamentarne la provenienza dal Pci nel frattempo entrato nella maggioranza governativa di cosiddetta solidarietà nazionale con la Dc- si dovrebbero e potrebbero trovare le tracce degli stragisti di Bologna del 1980.
Massimo Giannini, proveniente proprio dalla Stampa e poi trasmigrato a Repubblica, ne è stato direttore dall’aprile 2020 al 6 ottobre del 2023. L’editoriale di oggi sulla Repubblica aiuta forse a capire il motivo della sostituzione al vertice del giornale torinese. Dove dubito che con lui l’analisi – ripeto – del professore Orsina avrebbe avuto quanto meno la collocazione, la visibilità e quant’altro di oggi. Non scrivo altro pensando anche alle condizioni in cui si trova la cosiddetta grande informazione in Italia: tanto apodittica quanto di parte, cioè tossica.