Il trucco c’è ma si vede. E non è gratificante per il governo non a torto pizzicato sulla prima pagina di Repubblica da un titolo che ne lamenta le divisioni e lo contrappone al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: un governo peraltro all’inizio di un percorso che vorrebbe essere lungo cinque anni, quanto la durata della legislatura uscita dalle urne del 25 settembre, e soprattutto innovativo, secondo le promesse del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. È il trucco del Mes, acronimo di quello che in Italia chiamiamo Meccanismo europeo di stabilità ma che a Lussemburgo, dove ha sede, si chiama Euroepean stability meccanism, riassunto nell’acronimo Esm, istituito dieci anni fa con 700 miliardi di euro, di cui 125 di parte italiana, per soccorrere i paesi dell’Unione in difficoltà. Non a caso si chiamava una volta Fondo salva-Stati, modificato dopo le polemiche scoppiate sui criteri con i quali venne applicato per fronteggiare la crisi greca.
Su questo benedetto o maledetto “istituto finanziario”, come lo chiamano gli esperti, erano rimasti solo in due in Europa a eccepire resistendo alla ratifica: la Germania e l’Italia. In Germania furono sollevate eccezioni di incostituzionalità sovranista, diciamo così, che hanno comportato la pronuncia finalmente arrivata dall’Alta Corte, che non ha ravvisato gli impedimenti o inconvenienti temuti. Manca a questo punto solo l’assenso italiano.
Sollecitato dai soci europei, il governo Meloni non ha ritenuto di potersi pronunciare perché due dei partiti che lo compongono – quello della stessa Meloni, schieratosi contro quando era all’opposizione, e la Lega, quando faceva parte del primo governo di Giuseppe Conte, con i grillini – sono rimasti fermi alla contrarietà avvertita per i troppi vincoli, controlli e costi derivanti dall’accesso agli aiuti.
Ci rimettiamo al Parlamento, hanno concordemente e sostanzialmente detto la presidente del Consiglio e il ministro (leghista) dell’Economia, che di suo ha aggiunto la raccomandazione per un dibattito “ampio e approfondito”. Che ormai potrà avvenire solo nel prossimo anno, essendo il tempo rimasto di questo 2022 occupato dall’esame del bilancio dello Stato.
Il trucco, di cui dicevo all’inizio, sta nel fatto che gli interessati si aspettano un voto positivo espresso dai gruppi parlamentari alle cui spalle stanno partiti che in sede di governo non ritengono di potersi e doversi pronunciare in questo senso.
D’altronde sarebbe anche politicamente e numericamente impossibile, specie al Senato, adottare una posizione favorevole con una maggioranza diversa da quella del governo di centrodestra, o destra-centro. La cui posizione pertanto è, a dir poco, bizantina: non certo all’altezza dell’orgoglio col quale a Roma si stanno concludendo i festeggiamenti dei “fratelli d’Italia” per il decimo compleanno della loro formazione politica, decollata con risultati o valutazioni elettorali da prefisso telefonico e in testa dal 25 settembre scorso alla classifica dei partiti italiani.