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Xi

Huawei, la guerra Usa-Cina e l’opzione indo-pacifica per l’Italia

L'analisi di Francesco Galietti, fondatore della società Policy Sonar

 

Con ogni probabilità, l’arresto della Cfo di Huawei in Canada su richiesta statunitense passerà alla storia. Non tragga in inganno l’espediente con cui il premier canadese, il liberal Trudeau, ha provato a derubricare la vicenda, cioè come scelta autonoma della magistratura canadese e in quanto tale insindacabile per le autorità politiche di Ottawa. Così non è.

CHE COSA SIGNIFICA L’ARRESTO DELLA NUMERO DUE DI HUAWEI

Quanto a teatralità, l’arresto porta inequivocabilmente il marchio di Donald Trump. Esso, infatti, ricorda da vicino la prima visita del presidente cineseXi Jinping a Donald Trump nella sua proprietà di Mar a Lago nell’aprile 2017. Visita durante la quale Trump ordinò (con non poco fastidio da parte di Xi) di scagliare diverse decine di missili Tomahawk sulla Siria e di sganciare il potentissimo ordigno Moab (“mother of all bombs”, madre di tutte le bombe) sull’Afghanistan. Si trattò dell’equivalente geopolitico di un potente ruggito, per ricordare la primazia di Washington nel mondo.

ECCO LA STRATEGIA DEGLI STATI UNITI CONTRO LA CINA

L’arresto della Cfo di Huawei descrive una fase ulteriore della strategia di Washington nei confronti di Pechino, con un ordine perentorio di serrare i ranghi che appare rivolto in prima battuta ai tradizionali alleati nonché ai membri della Five Eyes, l’anglosfera dell’intelligence. La chiamata non è arrivata solo al Canada, tradizionale destinazione offshore per ingenti capitali cinesi, o all’Inghilterra, il cui distacco dall’Europa via Brexit procede appena meno speditamente dell’addio alla sinofilia che ispirava l’ex premier David Cameron.

IL RUOLO DELL’AUSTRALIA

Anche l’Australia, in prima linea contro le mire espansionistiche cinesi nel Pacifico, è ormai divenuta un riferimento stabile nel quartetto di base del concetto strategico del Free and Open Indo-Pacific (“Foip”). Proprio il Foip, che vede affiancati Usa, India, Giappone ed Australia, è stato da poco rilanciato con notevole enfasi dal Segretario della Difesa Usa James Mattis in occasione dell’importante conferenza autunnale di Manama.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA

Il Foip si presenta, con ogni evidenza, come una risposta democratica alle autoritarie Vie della Seta cinese, che combinano tra loro un poderoso sforzo di connettività multi-continentale con la strategia di influenza cinese. E l’Italia? Roma, con la Cina, ha finora intrattenuto un intenso rapporto “transazionale”. Ha cioè venduto a Pechino diversi gioielli, senza tuttavia aderire al neo-eurasianismo. Ha inoltre mantenuto un rapporto di assiduità con la Russia e financo scansato le sanzioni americane sull’Iran, evitando tuttavia accuratamente di ricusare le tradizionali lealtà atlantiche.

LO SCENARIO

L’adesione a Foip per Roma si potrebbe leggere in filigrana con le rotte marine dei nostri flussi commerciali. Essa poi, si situerebbe su una ideale linea di continuità con la strategia geo-economica italiana perseguita fin dai primi vagiti del Regno d’Italia – da Pietro Paleocapa a Cavour, passando per il presidio del Corno d’Africa. Infine, avrebbe il non trascurabile beneficio di consentire un ribaricentramento della Nato, fuori dagli ormai angusti perimetri pensati per la Guerra Fredda e in coerenza con la presenza militare italiana a Gibuti, dove abbiamo una base navale dall’autunno del 2013.

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