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Tutte le manovre di Hamas con il Pakistan e non solo. Parla Sisci

Cosa sta cercando di fare Hamas con il Pakistan e quali sono le posizioni di Arabia Saudita, Russia e Cina. Conversazione di Marco Mayer con il sinologo Francesco Sisci.

 

Cosa significa che alcuni paesi del Golfo potrebbero applicare il piano se Hamas non accetta il piano entro domenica?

Direi che si sta allargando la cornice politica dell’accordo raggiunto da Trump e si assottigliano ormai praticamente di ora in ora gli spazi di Hamas e dei suoi sponsor. Con la garanzia che i palestinesi non saranno cacciati da Gaza non restano molti spazi politici per Hamas. Se Hamas non cede gli ultimi ostaggi tutti approveranno un intervento decisivo dell’esercito israeliano contro Hamas. E così si toglie anche ossigeno politico alla fiamma di Hamas nei paesi occidentali dove questo nome è diventato una bandiera spesso per sentimenti anti semiti. Cioè tutti i paesi arabi o musulmani coinvolti sono contro Hamas. Quindi i filo Hamas di Roma sono contro gli altri paesi arabi e musulmani? Credo che l’iniziativa politica sia astuta.

Di fronte al pressing di Qatar e Turchia, i leader di Hamas (Khaled Mesh’al in particolare) cercano di consolidare i loro rapporti con Islamabad. Questa mossa è rivolta trovare un santuario per gli amnistiati oppure a spingere al boicottaggio del piano di Trump, che ufficialmente il Pakistan aveva inizialmente appoggiato?

Naturalmente oggi Hamas cerca di capire come sopravvivere, perché in ogni caso a Gaza è finita. L’accordo con gli Usa prevede infatti che o si arrendono, oppure Israele avrà mano libera. Quindi Hamas, specie all’estero – mentre il Qatar, come si è visto, non è più un porto sicuro – cerca di capire le sue strade.

Qui ci sono due aspetti. Il primo è che se Hamas perde il suo innesto con i palestinesi normali, diventa come i gerarchi nazisti in fuga in America latina dopo la Seconda guerra mondiale, in attesa di essere identificati e catturati uno per uno. Il secondo aspetto è l’interesse che potrebbe avere il Pakistan a assistere Hamas. Il Pakistan ha la sua storia tormentata con al Qaeda, ha ancora questioni aperte con i talebani in Afghanistan… gli conviene andarsi a invischiare anche con Hamas? E Hamas cosa gli dà? I talebani sono utili per avere una mano su Kabul e poi, magari, infiltrare qualcuno di loro nel Kashmir indiano: ma associarli con Hamas credo non sia utile. Aumenta i rischi per il Pakistan senza vantaggi.

Oggi il Pakistan ha recuperato un migliore rapporto con gli Stati Uniti; migliora la relazione con l’Arabia Saudita, a cui potrebbe assicurare una copertura nucleare e truppe contro gli houthi in Yemen, il tutto in funziona anti-iraniana. Ma Hamas è nata e cresciuta per Teheran… quindi, vedo come Hamas possa raccontare questa storia e come gli indiani possano essere debitamente sospettosi, ma non vedo i collegamenti che facciano funzionare davvero una nuova chimica.

L’Arabia Saudita ha stretto un patto nucleare con il Pakistan, ma sembra molto favorevole al piano di Trump nella prospettiva di nuovi accordi di Abramo. Come reagirà Riad alle ambiguità del governo pakistano?

Non so se ci sono davvero ambiguità pakistane, per quello che dicevamo, anche se il Pakistan è campione mondiale di giochi doppi e tripli.

Le agenzie cinesi stanno dando molto spazio alle posizioni di Islamabad. Forse la Cina non vede con favore un successo politico di Trump in Medio Oriente?

Beh, la Cina sconta una sconfitta politica cocente: è stata espulsa di fatto dalla politica mediorientale, dove aveva tentato di inserirsi negli ultimi anni, e cerca di tirare sui suoi rapporti storici con il Pakistan.

Il Pakistan ha legami molto stretti con la Cina e certamente ha interesse a tenerli vivi per mille motivi, ma non credo che possa volere questo mettendo a rischio il suo nuovo rapporto con i sauditi. Poi, negli incroci contraddittori di interessi in Asia, il Pakistan ha ruggini antiche con l’Iran, che invece ha buoni rapporti con l’India. Quindi partecipare a una coalizione di fatto anti-iraniana serve al Pakistan in molti modi. Questo, nei fatti, è contro gli interessi cinesi.

Hamas negli anni ha potuto contare su un’ampia rete internazionale di supporto, dall’Iran alla Turchia a qualche paese dell’America latina, in parallelo con gli hezbollah. In questa cornice, qual è a tuo avviso il ruolo della Russia e di una parte dei Fratelli musulmani?

Io credo che la Russia sia stata importantissima per Hamas e per l’Iran. La Russia, ancora più dell’Iran, ha tenuto in vita il regime siriano di Assad. Ora la Siria è stata “spartita” tra Turchia e Israele ed è diventata la base forse di una nuova intesa turco-israeliana.

Anche la Turchia è coinvolta nella pace di Gaza. La Russia in due anni ha perso una conquista storica, raggiunta dopo la Seconda guerra mondiale: un ruolo forte in Medio Oriente. Oggi la Russia è stata espulsa in Medio Oriente e quindi la sua presenza in Africa è più fragile. Inoltre, fra qualche settimana, con il sopirsi delle questioni a Gaza, l’Ucraina ritornerà al centro dell’attenzione totale. Cosa farà la Russia a questo punto? Ce la farà a sostenere una nuova escalation militare?

L’industria degli armamenti e del petrolio americano, poi, hanno un interesse nuovo alla guerra per vendere più armi e più petrolio, al posto del petrolio russo. Questo pone una sfida enorme alla Cina. Che farà con la Russia? La sosterrà nel suo nuovo sforzo bellico, e così mette sotto pressione la sua economia già in difficoltà; oppure lascerà la Russia al suo destino, con tutti i rischi connessi? Sono entrambe delle alternative pessime. Nei fatti, questo è un successo di deriva dell’America nei confronti della Russia e della Cina che dovrebbe indurre entrambi a dei ripensamenti.

In Italia basta il clima elettorale a spiegare la polarizzazione su Gaza e le vaste proteste pro-Pal o ci sono ragioni più profonde?

l’Italia è un paese profondamente diviso geograficamente e idealmente: è facile per istinti vivi nella nazione e forze esterne manipolare queste spinte centrifughe per tentare di fare della penisola un campo di battaglia. Credo che la questione debba essere posta chiaramente in questi termini e così affrontata, altrimenti la prossima Palestina poterebbe essere l’Italia.

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