Skip to content

giustizia

Vi racconto la vera guerra contro il governo

Il sindacato dei magistrati ha annunciato al ministro Nordio un'opposizione "non sindacale" alla riforma della giustizia proposta del governo. I Graffi di Damato

Come per le guerre all’estero e le loro connessioni, chiamiamole così, per esempio fra Ucraina e Gaza, così per le guerre interne, pur senza il sangue delle altre, rischiamo di perderne il conto. Stavo leggendo le cronache giudiziarie dalla Liguria, con l’arresto del governatore Giovanni Toti e tutto il resto, e riflettendo sui curiosi tempi di una, anzi più indagini di quattro anni che hanno sorpreso anche un esperto come il ministro della Giustizia ed ex magistrato Carlo Nordio, quando sono stato raggiunto dalla notizia dell’incontro fra lo stesso Nordio e il presidente dell’associazione nazionale dei magistrati Giuseppe Santalucia sulla riforma della giustizia in cantiere fra Palazzo Chigi e via Arenula. Essa prevede di sicuro la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, la divisione del Consiglio Superiore in due sezioni, un’alta Corte per i procedimenti disciplinari riguardanti i magistrati, che ora vi provvedono direttamente e da soli, forse anche un intervento sulla obbligatorietà dell’azione penale sancita dalla Costituzione.

Con una franchezza in ogni caso apprezzabile, da preferire a frasi e formule ambigue, il presidente del cosiddetto sindacato delle toghe ha dichiarato di avere annunciato al guardasigilli una “opposizione culturale e costituzionale” della sua categoria. Una opposizione cioè politica – “non sindacale”, ha riconosciuto Santalucia – alla riforma in arrivo come proposta del governo. Un’opposizione politica condotta in una sede non politica, non essendo l’associazione dei magistrati un partito, né rappresentato in Parlamento né extra-parlamentare.

Tanto alla Camera quanto al Senato l’associazione dei magistrati si affida evidentemente al sostegno che la sua opposizione riuscirà a trovare, o meritarsi, nei e fra i gruppi parlamentari.

Se tutto questo sia regolare o opportuno francamente non so. È sicuramente ordinario, entrato cioè nelle abitudini consolidate, aggravate dalla circostanza che i magistrati hanno di avere, dietro l’apparenza della estraneità, sostanzialmente una doppia rappresentanza, indiretta e diretta. Indiretta con la pratica appunto dei collegamenti con i partiti e rispettivi gruppi parlamentari, diretta con il notissimo distaccamento di tante toghe presso uffici del governo, Ministeri e quant’altro, dove si confezionano i disegni di legge, i decreti legge, i decreti delegati eccetera, E dove si stendono anche le modifiche che maturano nel percorso parlamentare dei provvedimenti.

Già messa così, la situazione appare, anzi è molto complessa, a dir poco. Ma essa diventa imbarazzante o inquietante, sempre a dir poco, quando l’annunciata “opposizione culturale e costituzionale” dell’associazione dei magistrati ad una riforma in gestazione, o a quelle già all’esame del Parlamento, si somma, s’intreccia, si contorce con una miriade di iniziative giudiziarie, più o meno clamorose che siano, dalla Sicilia al Piemonte, dalla Puglia alla Liguria e domani chissà dove. Iniziative che, condotte a carico dei politici e, più in generale, di una politica sospettata e accusata di banale o criminale commercio di favori, più o meno inevitabilmente si sovrappongono anche alle campagne elettorali che non mancano mai in un Paese dove c’è sempre qualche organo rappresentativo da rinnovare.

Quali sono – mi e vi chiedo -i rapporti fra queste iniziative, prese singolarmente o nel loro complesso, e l’opposizione – ripeto – di natura culturale e costituzionale, cioè politica e non sindacale, non solo esercitata ma ora anche rivendicata dal presidente dell’associazione nazionale dei magistrati? Che peraltro è alla viglia di un congresso al quale è stata assicurata la rispettosa presenza della politica ai livelli anche massimi del presidente della Repubblica e del ministro della Giustizia.

La domanda che mi sono posta e vi ho girato come lettori nasce pure da un allarmato appello appena lanciato dal vice presidente della Camera Giorgio Mulè, di Forza Italia, ai politici di ogni colore a svolgere il loro mandato di parlamentari, e riformatori anche della Costituzione, senza lasciarsi intimidire dalle proteste di chi si sente colpito.

Se non è una guerra anche questa, poco francamente le manca.

Torna su