“La guerra antisemita contro l’Occidente” è il titolo del nuovo libro della scrittrice e storica collaboratrice de Il Giornale Fiamma Nirenstein. Scritto in collaborazione con la giornalista Nicoletta Tiliacos ed edito da Giubilei Regnani, il saggio ci mette di fronte alle drammatiche conseguenze della “perversa ondata di antisemitismo” che pervade l’Occidente dove impera, spiega l’autrice, quella cultura woke che ci insegna a odiare non solo gli ebrei ma noi stessi, colpevoli di razzismo, imperialismo e ogni altra nefandezza. In questa conversazione con Start Magazine, Nirenstein ci introduce al cuore degli argomenti trattati nel libro che è stato presentato lunedì 21 ottobre alla Fondazione Museo della Shoah.
Da dove inizia la sua analisi di questa guerra antisemita? Di cosa ci dobbiamo preoccupare di più?
Quel che mi preoccupa di più non è la gente, tra la quale ci sono certamente tanti antisemiti ma soprattutto ignoranti, e con cui dunque magari, con la giusta informazione e un po’ di buon senso, si può ragionare. Quel che più spaventa è la malafede dei media: parlo dei telegiornali, dei talk show, degli ospiti che si avvicendano in tutte le reti e che seguitano a fornire disinformazione.
Lei dunque punta il dito sui giornalisti?
Non intendo generalizzare, ma certamente l’élite dei giornalisti, e anche quella dei docenti universitari, degli intellettuali, mostrano tutte la stessa faccia. Tra l’altro molti non si fanno scrupolo di sbandierare la loro totale ignoranza sulla questione israelo-palestinese e sulla storia del popolo ebraico. Sono tutti opportunisti senza morale e del tutto privi di memoria storica, che vanno nella direzione del vento.
Quali le idee più fuorvianti?
Trovo del tutto antistorico il tentativo di dipingere la fondazione dello Stato di Israele come un’operazione coloniale e imperialista. Così come trovo ripugnante il negazionismo di una presenza ebraica in quella terra che risale in realtà indietro nei millenni. Senza trascurare un altro dettaglio su cui tutti opportunamente sorvolano, ossia che tutte le guerre che hanno interessato Israele dal 1948 in poi sono state scatenate dalla controparte araba, la stessa che ha rifiutato la partizione deliberata dalle Nazioni Unite nel 1947.
Perché questa ondata antisemita infuria proprio adesso, paradossalmente dopo il terribile pogrom del 7 ottobre? A noi pare che più di qualcosa covasse sotto la cenere da tempo.
In realtà è dagli anni Ottanta che mi occupo di questi temi e li metto in evidenza. Adesso però si è compiuta definitivamente la saldatura tra l’odio antisemita già fomentato dallo stalinismo e l’avvento sulla scena mondiale dell’Islam radicale e del terrorismo jihadista. C’è stato il convenire su questo punto di queste due maree.
Però le piazze, tra l’altro piene, si definiscono pacifiste.
Quel che vediamo nelle piazze è lo sfoggio della cultura woke, che si dice per la pace ma è contro la pace, si dice antirazzista ma è razzista contro gli ebrei. La cultura woke è quella che ha cominciato a distruggere le città americane a partire dal movimento Black Lives Matter e che definisce la civiltà in cui viviamo come una civiltà dominata da bianchi razzisti. Un’idea pazzoide quando si pensi che in Israele il 20% della popolazione è araba e gode di tutti i diritti.
Nel suo libro ci sono tanti riferimenti a questo accanimento anti-Occidente che è lo stesso che brucia Cristoforo Colombo, Dante e Shakespeare.
Sì, ma quel che trovo più paradossale nella cultura woke è lo scagliarsi contro la nostra civiltà dei diritti e al tempo stesso elogiare apertamente dittature sanguinarie che impiccano gli omosessuali come l’Iran. Ma questa è la stessa contraddizione che vediamo all’Onu, che sforna risoluzioni a raffica contro Israele ma chiude gli occhi davanti alle palesi violazioni dei diritti umani commesse da Paesi come la Cina.