Giorgia Meloni, da 990 giorni a Palazzo Chigi, sorpassa Giuseppe Conte e così si colloca all’undicesimo posto nella graduatoria dei presidenti più longevi, alle spalle di Matteo Renzi che raggiungerà tra poco più di un mese. C’è da dire che tutti gli altri hanno cumulato i periodi di durata di più governi mentre questo esecutivo appare destinato al record di una intera legislatura.
La novità è anche la straordinaria tenuta della luna di miele con il corpo elettorale nonostante la usuale caduta di consenso a chi governa che si registra anche negli altri importanti Paesi europei. Viviamo anni complessi che inducono malessere ma, come ha osservato il sondaggista Antonio Noto, una quota ancor maggiore di elettori rispetto a quella con cui ha vinto, è portata a riconoscere a Giorgia Meloni la volontà di “sporcarsi le mani e tentare tutte le strade possibili”. In un tempo di grandi insicurezze ha garantito non solo stabilità politica ma anche i due pilastri di ogni buongoverno: il posizionamento internazionale e la tenuta dei conti pubblici. Con il corollario della riduzione dei costi di collocamento del debito pubblico.
Tutto ciò non significa che non possa un domani perdere a favore di una coalizione capace di mettere cinicamente insieme tutti gli scontenti anche se in contraddizione tra loro. Se sul piano esterno sarà ragionevolmente capace di continuare l’opera che l’ha resa una oggettiva protagonista delle grandi controversie, la cura degli affari interni risulterà paradossalmente più faticosa. La crescita sarà in parte legata alla correzione di rotta della UE e in parte dipendente dallo scioglimento di nodi come il costo dell’energia e la diffusione delle tecnologie intelligenti. I salari mediani sono bassi e toccherà al governo incentivare fiscalmente le parti variabili decise in azienda.
Nella dimensione sociale, il governo vive il paradosso del più elevato finanziamento della sanità senza che ve ne sia la percezione. La sfida sarà guidare le Regioni e non farsene guidare.