È vero, come ha detto Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di FdI in una intervista a “Il Corriere della sera” di domenica scorsa, che distinguo e polemiche della maggioranza, dal terzo mandato alla cittadinanza ai pedaggi autostradali, sono niente rispetto alle spaccature vere e proprie per le quali si sono distinti i governi del passato e soprattutto quelli dominati dalla sinistra. Ed è altrettanto vero che il cosiddetto campo largo diviso su temi dirimenti a cominciare dalla politica estera, è ben lontano dal rappresentare un credibile fronte alternativo di governo.
Ma, parafrasando quello che una volta valeva per il vecchio Pci nel mondo diviso in due blocchi, la “conventio” stavolta ad “auto-excludendum” alla quale la sinistra, priva di un centro o meglio di un baricentro, sembra essersi condannata, in una gara a chi è più estremista e massimalista, una situazione che rischia di farle perdere anche le prossime elezioni nel 2027, non deve far sentire il centrodestra invincibile. Al punto da permettersi distinguo su questioni che gli stessi proponenti non ritengono delle “priorità”. Come è successo, ad esempio, sullo ius scholae proposto da Forza Italia e bocciato da Lega e FdI, con la stessa premier, Giorgia Meloni, schierata per il no.
Certamente quello di una sinistra, dove il Pd di Elly Schlein, all’inseguimento delle formazioni più estreme di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli e i Cinque Stelle, che addirittura diserta i festeggiamenti del 4 di Luglio all’ambasciata Usa perché ha vinto Trump, salvo poi spaccarsi anche su questo perché Giuseppe Conte dando scacco a Schlein è invece andato a Villa Taverna, ricorda posture e toni che lo stesso vecchio Pci avrebbe definito da “gruppettari”.
Ma se il centrodestra non sembra proprio avere competitor per un’alternativa di governo, non sembra essere la stessa cosa sui territori. La sinistra e quel che resta dei piccoli centri con lei alleati si sta muovendo da tempo sui territori, per la riconquista e il mantenimento dei governi locali, dove contano altri criteri e non le divisioni sulla politica estera. E sui territori quelle che il direttore responsabile di “Libero Quotidiano”, Daniele Capezzone, ha chiamato le “ammucchiatissime”, in un editoriale di ieri, sono molto più facili per una sinistra che dai tempi della “conventio ad exludendum” ha sempre fatto del potere locale la sua forza.
È dalla Sardegna, passando per l’Umbria il fortino rosso che era stato espugnato dal centrodestra, trainato dalla Lega di Matteo Salvini, dove il centrodestra ha perso i capoluogo Perugia e Terni e poi la Regione, arrivando fino a Genova anche questa tornata alla sinistra, che il centrodestra perde importanti colpi in luoghi simbolo. E la prossima posta in palio con le Regionali di autunno sarà soprattutto il Veneto, dove Luca Zaia, ancora oggi secondo nella cinquina dei governatori più amati d’Italia, non potrà più ricandidarsi poiché non è passato il terzo mandato.
Alcuni “regali” a una sinistra non credibile come forza di governo sono già stati fatti per diatribe interne sui territori; il punto ora per il centrodestra è non farne più altri che sarebbero ben più eclatanti. E puro tafazzismo con polemiche incomprensibili per gli stessi elettori. Successi e risultati del governo nazionale non sempre fanno automaticamente da traino ai risultati delle Regionali. Furono proprio i risultati dei territori a fare da traino alla coalizione per Palazzo Chigi. Con uno spirito di squadra e un entusiasmo che il centrodestra ha evidentemente ora bisogno di recuperare sui territori.