skip to Main Content

Meloni Cina

Perché il governo Meloni darà battaglia alla Cina

Con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, i rapporti tra Italia e Cina subiranno uno scossone. Ecco perché. L'analisi di Michelangelo Cocco per Domani

Emmanuel Macron e Olaf Scholz dovrebbero volare (separatamente) a Pechino a novembre, per incontrare Xi Jinping dopo che il segretario generale sarà stato riconfermato dal prossimo congresso del partito comunista. A causa della pandemia i leader dell’Europa occidentale mancano dalla Cina da tre anni e il presidente francese e il cancelliere tedesco intendono riallacciare i rapporti vis-à-vis con il mercato dove l’anno scorso Parigi e Berlino hanno esportato beni per 104 e 24 miliardi di dollari rispettivamente.

Quando sarà diventata presidente del Consiglio, la sovranista Giorgia Meloni invece non avrà alcuna fretta di recarsi alla corte di Xi. E con lei a palazzo Chigi, i rapporti tra Italia e Cina rischiano di subire più di uno scossone.

Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha auspicato «che il nuovo governo italiano continui a seguire una politica positiva e pratica nei confronti della Cina, a lavorare con la Cina nello spirito del rispetto reciproco, della fiducia e del mutuo vantaggio per approfondire la cooperazione e gli scambi per il bene dei due paesi e due popoli». Per gli standard cinesi si tratta di una dichiarazione inusualmente circostanziata su un esecutivo non ancora nato.

L’Italia ha relazioni amichevoli con la Cina, fatte di pezzi di storia in comune (si pensi a Marco Polo e Matteo Ricci), di scambi culturali e di una bilancia commerciale per Roma perennemente, allegramente in passivo (-23 miliardi di dollari nel 2021).

AMICIZIA A RISCHIO

«La prossima prima ministra italiana Meloni è pronta a ristrutturare i rapporti con la Cina», titolava ieri South China Morning Post. Il quotidiano di proprietà del colosso cinese del commercio elettronico Alibaba definisce Meloni una leader di «estrema destra».

Bisognerà attendere la formazione del nuovo governo per comprendere i suoi indirizzi di politica estera. Tuttavia sia la strategia sia l’ideologia di Meloni promettono di rendere problematici i rapporti tra Roma e Pechino.

Sul primo fronte, Meloni ha sdoganato all’estero il suo partito post fascista proponendosi come garante di una linea atlantista. E con il viaggio in Florida del febbraio scorso si è avvicinata alla politica a stelle e strisce, in particolare ai conservatori più avversi alla Cina.

Inoltre per la leader di FdI la Cina rappresenta il nemico di sempre, il comunismo.

Certo, già con l’arrivo di Draghi, Pechino aveva visto insediarsi a Roma un esecutivo non proprio China friendly. Ma – agli occhi della leadership cinese – Meloni ha un curriculum assai meno “rispettabile” di quello del suo predecessore.

Meloni ha giudicato un «grave errore» il memorandum sulla nuova via della Seta sottoscritto da Lega e Cinque stelle, lasciando intendere di non voler rinnovare al suo scadere (nel 2024) quell’accordo, che rappresenta soprattutto un riconoscimento politico dell’Italia (unico paese nell’Ue) alla strategia di politica estera di Xi.

Nel 2008 la ministra dello sport Giorgia Meloni invitò gli atleti e i tifosi azzurri a boicottare le Olimpiadi di Pechino (soprintendente un allora sconosciuto in Italia Xi Jinping) per protestare contro la repressione in Tibet.

«AI MARGINI DELL’UE»

Il mese scorso, dopo le esercitazioni dell’Esercito popolare di liberazione in risposta alla visita a Taipei della terza carica degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, alla tv taiwanese Meloni ha giudicato «inaccettabile la condotta di Pechino, che condanniamo con fermezza», aggiungendo che «non dimentichiamo che l’Ue è anche un mercato di sbocco fondamentale per la Cina, che rischia di chiudersi se Pechino decide di attaccare Taiwan».

L’altra sera la Cgtn – la tv cinese in lingua inglese – ha dedicato una puntata della trasmissione Dialogue all’esito delle elezioni in Italia.

Cui Hongjian, direttore del dipartimento di studi europei del China Institute of International Studies, ha definito Fratelli d’Italia un partito di «estrema destra» che ha vinto per la «insoddisfazione degli italiani per le politiche dei partiti mainstream» e perché la destra «si è dimostrata più capace di costruire una coalizione».

Pechino ha scommesso da tempo sull’Unione europea (prima della pandemia il suo principale partner commerciale), anche per contrastare i “tentativi egemonici” statunitensi.

Ma, con l’ascesa di Meloni, Cui parla di “orbanizzazione” e giudica la formazione di una «coalizione di governo di estrema destra» a Roma, che il ricercatore cinese equipara a quelle polacche e ungheresi, «un problema per il processo d’integrazione dell’Unione europea».

(Articolo pubblicato su Domani)

Back To Top