Per avere contezza di quanto la guerra contro l’Ucraina sia efferata, non bastano le immagini a testimonianza dei 1.200 missili che ogni giorno Vladimir Putin lancia in media e puntuale contro il Paese da lui aggredito.
Quest’orribile conflitto che colpisce civili inermi, che ha provocato documentate stragi e torture da parte degli aggressori, che ha deportato almeno 20 mila minori ucraini in Russia – accusa per la quale lo Zar è inseguito da un mandato di cattura dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra -, ha già superato il tempo in cui per l’Italia durò la prima e tremenda guerra mondiale.
Oggi siamo arrivati a 3 anni e quasi 10 mesi, ossia circa 5 mesi in più della Grande Guerra rispetto a noi. Se poi al primo si somma il secondo e ancor più devastante conflitto mondiale, si potrà capire perché sia nato l’impegno europeo per la pace. Ottant’anni di pace.
Ma si può anche comprendere perché la coscienza europea non possa oggi sorvolare sul principio che un Paese sovrano, quale dal 1991 è l’Ucraina, venga invaso con le armi da un altro Paese. A prescindere dalla circostanza, pur rilevante, che tale sopraffazione possa o no un giorno riguardare pure altre nazioni nell’area, tutte appartenenti all’Unione europea e alla Nato.
Dunque, la limpida e coerente posizione dell’Ue non è solo atto preventivo: dissuadere l’eventuale e già sperimentato aggressore.
E’ atto decisivo: noi europei non legittimeremo mai un attacco violento e in violazione di tutti i diritti umani e nazionali.
Ecco quel che Donald Trump e Vladimir Putin non hanno ancora inteso nel loro brutale tentativo a tenaglia, su Kiev e sull’Europa, di chiudere un accordo per legalizzare l’illegalità, calpestando le ragioni degli aggrediti e dei loro sostenitori europei.
Sostenitori che, contrariamente alla mediocre retorica anti-europea, stanno evitando la mistificazione dei fatti. Quasi fossero gli ucraini aggrediti i colpevoli dell’aggressione. Quasi fosse irrilevante l’obiettivo non di una pace purchessia, bensì di una pace “giusta e duratura”. Come la reclamano il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Papa Leone e i 27 Paesi dell’Unione più la Gran Bretagna.
Le diverse sfumature nell’Ue, le fondate preoccupazioni delle opinioni pubbliche, l’estenuante dibattito in punta di diritto sul congelamento degli oltre 200 miliardi di beni russi in Europa -congelamento finalmente deciso e Putin già minaccia ritorsioni-, non sono esempi di incertezza né di impotenza europea, come crede Trump.
Sono il frutto di democrazie consapevoli, che nella pacifica libertà e nel pluralismo – non nella guerra -, fondano la loro forza tranquilla.
Ma questa civiltà del diritto non contempla la resa del mondo libero e occidentale alla violenza di nessuno.
Gli europei sono ora impegnati a separare Trump da Putin.
Purtroppo l’attuale presidente statunitense non ha la grandezza di Reagan. Né segue le orme di Bush padre o figlio, neppure di Nixon.
Tutti repubblicani che mai, al pari dei democratici d’America, hanno trattato l’Europa come il “nemico principale”.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)



