È stata resa nota la relazione conclusiva della commissione di studio sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, istituita nel marzo 2021 dal ministro della Giustizia, Marta Cartabia, e presieduta dal professor Massimo Luciani.
Le proposte formulate dalla commissione si inseriscono all’interno del vasto programma di riforma del sistema giudiziario portato avanti dal governo Draghi, funzionale all’ottenimento delle risorse previste dal programma europeo Next Generation EU. Altre due commissioni di studio, presiedute dall’ex presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi e dal professor Francesco Paolo Luiso, si sono già occupate di elaborare proposte di riforma relative, rispettivamente, al processo penale e al processo civile.
Il lavoro svolto dalla commissione presieduta dal professor Luciani assume particolare rilevanza alla luce della grave crisi di credibilità vissuta oggi dalla magistratura italiana e dallo stesso Csm, soprattutto in seguito all’emergere nel giugno 2019 del cosiddetto scandalo delle nomine pilotate. Da allora la riforma dell’ordinamento giudiziario e dell’organo di autogoverno della magistratura si è affermata come uno dei principali temi al centro dell’agenda politica del Paese. Appare dunque opportuno esaminare il contenuto delle principali proposte elaborate dalla commissione Luciani.
LA RIFORMA DEL CSM
Nella sua relazione conclusiva, la commissione di studio avanza in primo luogo alcune proposte di modifica del funzionamento del Csm, travolto negli ultimi mesi da scandali e polemiche, legati in particolare al fenomeno della degenerazione delle correnti dei magistrati.
Proprio per “ostacolare il consolidarsi di aggregazioni di interesse che trascendano il corretto esercizio delle funzioni consiliari”, la commissione propone di riformare il metodo di elezione dei componenti togati del Csm, attraverso l’introduzione del sistema del voto singolo trasferibile. Questo sistema, a opinione della commissione, consentirebbe di produrre, in collegi di ampiezza almeno media (quattro-cinque seggi) dei risultati di tipo tendenzialmente proporzionale e di valorizzare fortemente il potere di scelta dell’elettore, eliminando il fenomeno del voto inutile, grazie al trasferimento ad altri candidati delle preferenze espresse dagli elettori di candidati già eletti o giunti ultimi nel confronto elettorale. Sempre in un’ottica di riduzione del peso delle correnti nella competizione elettorale, si propone anche di ridurre il numero delle firme necessarie per la presentazione delle candidature individuali.
La commissione si esprime favorevolmente rispetto all’ipotesi di un rinnovo parziale del Csm ogni due anni, sottolineando però che per questa modifica sarebbe necessaria una revisione della Costituzione. Tale modifica, ad opinione della commissione, dovrebbe coinvolgere anche la nomina del vicepresidente dell’organo di autogoverno della magistratura (da affidare al capo dello Stato).
La commissione ritiene, infine, “meritevole di attenta riflessione” l’ipotesi di istituzione – sempre attraverso una modifica costituzionale – di un’Alta Corte della magistratura, composta da magistrati ordinari e speciali, a cui affidare il contenzioso sui provvedimenti del Csm e degli organi di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza delle magistrature speciali, nonché la risoluzione dei conflitti di giurisdizione.
IL CONFERIMENTO DI INCARICHI DIRETTIVI E SEMIDIRETTIVI
Particolare rilievo assumono anche le proposte elaborate dalla commissione di studio sul conferimento da parte del Csm degli incarichi direttivi (per esempio procuratore della Repubblica, presidente di tribunale, presidente di corte d’appello ecc.) e semidirettivi (per esempio procuratore aggiunto, presidente di sezione di tribunale ecc.). Come evidenziato dai recenti scandali, si tratta di uno degli ambiti di intervento del Csm maggiormente influenzati dai condizionamenti delle correnti.
Per contrastare il fenomeno della lottizzazione correntizia e della politicizzazione delle procedure di nomina, la commissione di studio propone misure volte a favorire la pubblicità e la trasparenza delle sedute del Consiglio, a disincentivare (attraverso la trattazione cronologica delle procedure) la pratica delle “nomine a pacchetto”, e a rafforzare la valutazione delle capacità – soprattutto organizzative e manageriali – dei vari candidati. Spetta comunque al legislatore individuare gli indicatori, generali e specifici, di cui il Consiglio deve tenere conto nella scelta dei magistrati ai quali affidare gli incarichi direttivi e semidirettivi.
MAGISTRATI IN POLITICA
Nella sua relazione conclusiva, la commissione di studio propone una disciplina più rigorosa per l’accesso dei magistrati alle cariche politiche, nella convinzione che “qualsiasi incarico di natura politica sia suscettibile di appannare l’immagine di indipendenza e imparzialità della magistratura”. In particolare, la commissione propone che per candidarsi alle elezioni il magistrato debba chiedere l’aspettativa almeno quattro mesi prima e presentarsi in un “luogo territorialmente diverso e lontano” da quello in cui ha svolto le funzioni giudiziarie. Al termine del mandato elettivo o incarico politico, inoltre, il magistrato dovrebbe essere ricollocato in ruolo con precisi limiti territoriali e funzionali, in particolare prevedendosi che, per un certo periodo di tempo, possa svolgere solo funzioni giudicanti e collegiali e non possa ambire a un incarico direttivo o semidirettivo.
ILLECITI DISCIPLINARI E VALUTAZIONE PROFESSIONALE
Alla luce delle esigenze di buon funzionamento dell’organizzazione della magistratura la commissione richiama l’attenzione sulla necessità di “un’applicazione rigorosa delle norme concernenti gli illeciti disciplinari” commessi dai magistrati. In particolare, viene avanzata la proposta di introduzione di uno specifico illecito disciplinare con l’obiettivo di responsabilizzare i dirigenti degli uffici e i presidenti di sezione “nell’assunzione dei provvedimenti necessari per porre rimedio ai ritardi degli appartenenti agli uffici da loro diretti”.
La commissione di studio propone anche una serie di misure per rendere effettive e “non rituali” le valutazioni di professionalità dei magistrati, altro tema oggetto da tempo di pesanti critiche (al momento tali valutazioni risultano essere meramente formali, con oltre il 99% di giudizi positivi da parte del Csm). Le misure proposte comprendono, tra le altre cose, il rafforzamento delle garanzie partecipative per l’avvocatura nelle procedure di valutazione della professionalità dei magistrati nei consigli giudiziari, e la valutazione delle capacità organizzative del lavoro del magistrato.
I COLLOCAMENTI FUORI RUOLO
In maniera significativa, la commissione Luciani suggerisce una rigorosa definizione delle condizioni per il collocamento dei magistrati fuori ruolo, ad esempio nei ministeri o nelle organizzazioni internazionali (oggi le toghe distaccate sono circa duecento). Tra le misure proposte, si segnala la riduzione del numero massimo di magistrati complessivamente collocabili fuori ruolo e la previsione secondo cui il collocamento possa disporsi “solo se corrisponde a un interesse dell’amministrazione di appartenenza e solo se non ne derivano conseguenze negative per il profilo dell’imparzialità e dell’indipendenza del magistrato”.
LE PRIORITÀ DELL’AZIONE PENALE
La commissione, infine, propone che i criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale siano “stabiliti dalla legge”. Un riferimento di grande importanza, che punta a superare la situazione attuale in cui, nella sostanza, ogni procura individua in modo discrezionale i propri criteri di priorità nell’azione penale.
UN LAVORO PREZIOSO MA SOLO INIZIALE
Il lavoro svolto dalla commissione di studio presieduta dal professor Luciani consentirà al ministro della Giustizia Marta Cartabia di disporre di una piattaforma preziosa di proposte tecniche su cui fare affidamento nell’elaborazione degli emendamenti ai disegni di legge di riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario già incardinati in parlamento.
Nella relazione conclusiva la commissione di studio riconosce che la risoluzione dei tanti problemi che riguardano la magistratura necessiterebbe di “un più complessivo sforzo di analisi e di riforma”. Tale sforzo, tuttavia, “richiederebbe tempi assai lunghi”, incompatibili con le esigenze di rapidità legate all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La commissione Luciani, inoltre, precisa di aver dovuto limitare – in virtù del mandato conferitole – il proprio ambito di azione alla formulazione di proposte emendative relative al disegno di legge di delega in discussione in parlamento, e non di essersi potuta spingere quindi a elaborare anche proposte di revisione costituzionale.
Più che un punto di arrivo, dunque, le misure proposte dalla commissione Luciani costituiscono un punto di partenza nel percorso di ridefinizione dell’assetto normativo riguardante l’ordinamento giudiziario e il Csm.
Il percorso di riforma non si annuncia agevole, soprattutto in virtù del particolare contesto politico attuale, caratterizzato dalla presenza di un esecutivo sostenuto da forze politiche fortemente eterogenee, portatrici di idee e valori riguardo alla giustizia e alla magistratura profondamente diversi fra loro. Le maggiori tensioni si registrano attorno alla riforma del processo penale e alla modifica dell’attuale disciplina della prescrizione, introdotta nel 2020 su iniziativa del Movimento 5 Stelle. Anche in materia di riforma dell’ordinamento giudiziario, tuttavia, come recentemente dimostrato dalla decisione della Lega di sostenere la raccolta firme per il referendum sulla giustizia promosso dal Partito Radicale e dal dibattito che ne è seguito, le forze politiche che sostengono il governo continuano ad apparire lontane da un’intesa.