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Giulio Sapelli legge “La Confusione morale” di Lodovico Festa

Intervista a Giulio Sapelli, storico ed economista, che presenterà il nuovo romanzo di Lodovico Festa “La Confusione morale” a Milano nella libreria Parole & Pagine il 28 febbraio alle ore 19

Giulio Sapelli, lei insieme a Piero Borghini presenterà il nuovo romanzo di Lodovico Festa “La Confusione morale” a Milano nella libreria Parole & Pagine il 28 febbraio alle 19, di che cosa tratta il libro di cui discuterà e come lo giudica?

E’ un libro che, come il primo di Festa “La Provvidenza rossa”, mi è piaciuto molto, perché riesce a scrivere di una cosa complicata e spesso noiosa come la politica, arte che evocata in un romanzo -come diceva Stendhal- solitamente fa l’effetto di un colpo di pistola in un concerto, e a raccontare convincenti vite e dilemmi umani, l’indispensabile materiale di cui la letteratura anche quella cosiddetta minore di genere poliziesco è fatta

E di che umanità si tratta?

In generale innanzi tutto di quella dei comunisti, in particolare di quelli milanesi, a partire dal personaggio centrale, Mario Cavenaghi, il poliziotto rosso capo dei probiviri locali, colui che è più direttamente investito dal dramma evocato nel titolo stesso: la confusione morale che tende a segnare il momento scelto dall’autore, l’autunno del 1984. Per qualche verso l’uomo della federazione milanese che indaga sul caso, la morte di un geometra dirigente dell’assessorato all’urbanistica del municipio ambrosiano, mi ricorda don Ciccio Ingravallo.

Non le pare di esagerare?

No, non sto parlando dell’inimitabile invenzione linguistica gaddiana, ma del clima da “pasticcio”, in qualche modo (a partire dalla non conclusione del “caso”) parallelo a quello di via Merulana, innanzi tutto per l’atmosfera un po’ disperata che circonda il protagonista. Ci sono ottimi saggi che descrivono quella crisi del comunismo italiano che prende un forte abbrivio alla metà degli anni Ottanta con la morte di Berlinguer, gli esiti della questione morale, il delinearsi della sconfitta sovietica in Afghanistan, il logorarsi del gruppo dirigente del Pcus e lo sbandamento della Cgil di fronte alla scelta del referendum sulla scala mobile. Penso a “Addio alla provincia rossa” di Mario Caciagli o a “Il gigante dai piedi di argilla” di Maurizio Cotta e Pierangelo Isernia: sono studi importanti peraltro molto concentrati su questioni sociopolitiche, la modernizzazione o la crisi della grande fabbrica. Festa racconta un travaglio visto a più dimensioni, e in parte meglio “dall’interno”, a partire dall’incombente scenario internazionale così fondamentale per un movimento comunista che ha avuto più o meno fino alla fine, in Mosca la sua Mecca, e proseguendo con un rapporto tra generazioni che a un certo punto pare non funzionare più.

Da qui la confusione morale.

I dilemmi tra l’etica della responsabilità e quella della convinzione , tra la virtù dell’uomo pubblico che deve rispondere innanzi tutto delle soluzioni che offre alla comunità che vuole guidare e le virtù del cittadino di una repubblica ben ordinata, sono ripresi con profili psicologici che mi convincono. Si tratta di questioni che potrebbero apparire pericolosamente noiose in un romanzo perdipiù di genere ma che Festa ravviva soprattutto nei dialoghi con i grandi vecchi del Pci in particolare di quello milanese ma anche di qualche grande vecchio della magistratura. Sono dialoghi dai toni particolarmente realistici e coinvolgenti segnati da quel tratto di disperazione di cui parlavo.

Lei parla in questo senso dell’allargarsi di un’anomia, di una mancanza di regole innanzi tutto morali, personali e collettive.

Un grande partito di massa non riesce a dare un senso a una comunità di destino come quella che organizza, se non offre una visione chiara del ruolo nazionale che vuole esercitare e per assolvere a questo compito deve avere anche un’adeguata visione internazionale, se questo compito non viene evaso, se la funzione innanzi tutto nazionale entra in crisi, tendono ad affermarsi tendenze alla disgregazione anche nei comportamenti individuali, prevale quella “angoscia” nella politica magistralmente descritta da Franz Neuman di cui ho scritto anche recentemente. E’ bello poterne leggere anche in una dimensione non saggistica come quella che ci offre un romanzo più o meno poliziesco.

E in questo senso il libro di Festa ci parla anche dell’oggi?

Sì, leggere vicende segnate o collegate alla politica mettendone in evidenza il lato tragico (cioè il conflitto tra due “ragioni” non solo tra bene e male) è anche un modo per fare i conti con le rozzezze di certa politica ma anche con l’arroganza di certe élite che spesso assumono toni isterici che ben lungi dall’aiutare a trovare soluzioni, complicano anche solo l’analisi concreta ( e differenziata, si sarebbe detto un tempo) dei problemi.

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