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Giovanni Valentini, 50 sfumature di livore contro Mauro, Mieli, De Benedetti e non solo

"Il romanzo del giornalismo italiano" scritto dall’ex direttore dell’Espresso, Giovanni Valentini, è una collezione di stilettate. I bersagli? Ezio Mauro, Paolo Mieli, Carlo De Benedetti, Renato Soru, Giovanni Pitruzzella

“Il romanzo del giornalismo italiano” è l’imperfetto titolo del memoir di Giovanni Valentini pubblicato da La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, con sottotitolo “Cinquant’anni di informazione e disinformazione”. Uno sprovveduto lettore potrebbe immaginarsi di trovarsi di fronte a un testo sull’ultimo mezzo secolo di giornalismo nostrano. Un libro, sembrerebbe, che racconti la nascita del Giornale nuovo di Indro Montanelli (1974) e la rivoluzione di Repubblica (1976), lo scandalo della P2 al Corriere della sera di Franco Di Bella (1981), l’epopea dei rotocalchi con i grandi reportage dell’Europeo e di Epoca e la guerra delle rose per il controllo di Mondadori, ma anche l’irrompere sulla scena di giornali corsari come L’Indipendente (1991), la breve esperienza montanelliana post berlusconiana de La Voce (1994), il nuovo modello del Foglio (1996) prima e di Libero (2000) e del Fatto quotidiano (2009) poi. E poi la crisi dei quotidiani di partito. Sul giornalismo televisivo la nascita dei vari telegiornali che iniziarono a offrire un’alternativa al Tg1: Tg2 (1976), Tg3 (1979), Tg5 (1992), Tg La7 (2001). E ancora le radio e i giornali online (come quello che leggete ora).

Insomma, gli ultimi cinquant’anni di giornalismo sono stati molto intensi, ma di questo nel libro di Valentini non c’è traccia. Episodi di storia del giornalismo sono raccontati solo se accidentalmente hanno incrociato quella del protagonista. Niente a che vedere, per esempio, con il libro “Preghiera o bordello” che Piero Ottone nel 1996 dedicò al mondo dell’informazione. Quello che colpisce, invece, nel leggere il libro dell’ex direttore dell’Espresso (presentato due settimane fa a Roma con Lucia Annunziata e Antonio Padellaro) è la quantità di stilettate che vengono riservate a colleghi e non solo. Un’incredibile collezione di sassolini che hanno reso evidentemente doloroso il camminare di Valentini nel mondo dell’informazione, che in cuor suo evidentemente ritiene non sia stato riconosciuto in maniera adeguata il suo talento.

Ecco una sintesi delle bordate valentiniane.

Paolo Mieli. All’ex direttore del Corriere della sera Valentini dedica un ricordo acido rievocando l’ostilità della redazione dell’Espresso quando fu nominato a capo dell’Espresso: “la fazione dei tupamaros superstiti capeggiati da Paolo Mieli, ex sessantottino di Potere operaio, che probabilmente si sentiva già l’erede designato e sarebbe passato in seguito alla corte degli Agnelli per dirigere La Stampa e poi assurgere al Corriere della sera.

Livio Zanetti. A via Po Valentini era arrivato nel 1984 per sostituire Zanetti con cui aveva un aspro confronto qualche anno prima quando l’editore Carlo Caracciolo aveva proposto una sorta di diarchia con Zanetti direttore e Valentini caporedattore. Durante una colazione preliminare però Zanetti disse a Valentini che in redazione non tutti erano d’accordo su questa nomina. Una mossa subdola e poco trasparente per Valentini che gli rispose a muso duro “chiudiamo qui il discorso, lasciami solo dire che il tuo è stato un comportamento da vigliacco”

Ezio Mauro. All’arrivo sulla tolda di comando di Repubblica, ricorda Valentini, Ezio Mauro si mosse con cautela e compostezza, “all’insegna, cioè, della falsità e della cortesia attribuite dal motto popolare ai torinesi o ai piemontesi”. Ricorda Valentini il giudizio perfido di Giorgio Bocca sul look del neodirettore paragonabile a “un autista della Fiat”. Ma è nel descrivere la sua uscita dal pacchetto di vicedirettori che Valentini intinge la penna nell’astio. Nel commentare in redazione il discorso di insediamento di Massimo D’Alema come presidente del Consiglio, Valentini predisse un esecutivo di breve durata. Un commento che fece scattare il direttore “Ah ecco, l’anticomunismo è duro a morire. Non eri così severo con il governo Maccanico”. Confronto davanti a redattori che finì anche su Prima comunicazione e terminò con le dimissioni da vicedirettore di Valentini.

Carlo De Benedetti. Superata la “guerra della rosa” per il controllo di Mondadori, Valentini fu congedato dopo 7 anni dalla direzione dell’Espresso. Una scelta inaspettata e dolorosa per il giornalista, “tutto mi sarei aspettato fuorché un voltafaccia di De Benedetti. (…) Quando mi fece chiamare da Corrado Passera, nuovo amministratore delegato del giornale, per comunicarmi l’intenzione di procedere a un avvicendamento alla direzione, mi sentii tradito sul piano personale e professionale. La cattiva coscienza non consentì all’Ingegnere di dirmelo a voce”. Fu ferito a tal punto Valentini che nei giorni seguenti non rispose a tre chiamate di Cdb. Nonostante ciò, il giornalista pochi anni dopo si prodiga in un’opera di mediazione con il nuovo governo di centrodestra per garantire che si desse seguito alla licenza di telefonia mobile per Omnitel che aveva deliberato il governo Ciampi nei suoi ultimi giorni. In una cena riservata a casa sua, Valentini mise uno di fronte l’altro De Benedetti e Pino Tatarella, ministro delle comunicazioni del primo governo Berlusconi. “L’indomani arrivò alla mia consorte un mazzo di fiori con un biglietto di Carlo e un “grazie!” scritto a mano per l’ospitalità. Lo conserviamo in una teca di cristallo, come una reliquia di San Nicola”. Il giornalista sottolinea, forse con un pizzico di acredine, di non aver ricevuto nessun altro ringraziamento: “Naturalmente, sapendo con chi avevo a che fare, non mi aspettavo nulla di più per l’interessamento. (..) Oltre ai fiori per la mia consorte, non passò una lira né un telefonino in quella trattativa”.

Claudio Rinaldi e Giampaolo Pansa. La coppia di giornalisti che arrivarono dopo Valentini all’Espresso ebbero il torto di non mostrare riconoscenza a chi gli aveva lasciato la poltrona. Ricorda l’autore del libro a proposito del suo editoriale di congedo dove ricordava i successi della sua direzione: “Per un atto di cortesia nei confronti di chi prendeva il mio posto, rivolsi anche un auspicio ai miei successori: “Il mio augurio, sincero, è che adesso possano essere raccolti da chi resta e da chi arriva, a cominciare da Claudio Rinaldi e Giampaolo Pansa”. Ma né il nuovo direttore, né il suo vicedirettore ebbero il garbo di ricambiare il saluto.

Renato Soru. A distanza di anni il ruolo di direttore editoriale della european internet company Tiscali resta un po’ oscuro, ma erano quelli tempi di pionierismo sul web e c’era tanto da esplorare nella Rete. Con il suo stile sobrio e modesto, il giornalista scelse di lanciare una testata online chiamandolo con l’inizio del suo nome: ValeOggi (“di cui conservo ancora il dominio”, tiene a sottolineare). Era, né più né meno, di una rassegna stampa affidata a Paolo Pagliaro, oggi collaboratore di Lilli Gruber a Otto e mezzo. Una rassegna che gli fece prendere una reprimenda da Soru: “qui mi dicono che facciamo un giornale troppo antiberlusconiano, non va bene. Rischia di danneggiare l’azienda”. In un’intervista al Giornale Valentini definì il suo editore “Un pescecane travestito da spigola”. Dichiarazione che non piacque, in considerazione anche dell’impegno politico di Soru, rimostranze al giornalista arrivarono da Eugenio Scalfari, Ezio Mauro e Giulia Maria Crespi.

Giovanni Pitruzzella. Per un breve periodo Giovanni Valentini ha ricoperto la carica di portavoce del presidente dell’Antitrust. Un rapporto tra i due nato casualmente in occasione di un incontro conviviale a casa di Roberto Zaccaria e Monica Guerritore. La collaborazione però si interruppe bruscamente quando il presidente ricevette, senza informare il suo collaboratore, il neodirettore di Repubblica, Mario Calabresi, e Francesco Dini, “il lobbista dell’Ingegnere”. “Non avrei preteso ovviamente di partecipare all’incontro, ma almeno di esserne al corrente. Sarebbe bastato che alla fine, prima di congedare Calabresi e Dini, il presidente mi avesse chiamato per salutarli”. L’episodio fece venire meno il rapporto di fiducia tra i due e Valentini scelse di interrompere con due anni di anticipo il contratto con l’authority.

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