L’allora Capo dello Stato pensò a lungo con la metodicità, fino alla pignoleria, e lo stile che lo contraddistinguevano, anche sulle modalità e il destinatario principale di una delle lettere più delicate e difficili della sua lunga vita politica e istituzionale.
Arrivò, con carta intestata del Quirinale con data 18 gennaio 2010, in casa Craxi a Hammamet il giorno successivo, 19 gennaio, decimo anniversario della scomparsa dello statista socialista al famoso fax dal quale Bettino Craxi per 6 lunghi anni aveva tentato invano di superare quel confine ormai invalicabile che si era frapposto tra la sua vita precedente di leader del Psi, parlamentare e di premier del governo più longevo della cosiddetta Prima Repubblica e quella di rifugiato politico dello Stato tunisino, in base a un trattato tra Italia e Tunisia del 1966.
A infrangere quella cortina ormai invalicabile tra il Craxi che invano mandava lettere da quel fax, quasi sempre regolarmente cestinate nelle redazioni dei giornali o rimaste in vari importanti cassetti dei Palazzi della politica italiani, missive in cui continuava a denunciare con le ultime forze che gli restavano quella situazione di grave anomalia del mondo occidentale alla quale si trovò ad esser sottoposto, fu in forma ufficiale 10 anni dopo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Proprio lui, il primo ex comunista a salire al Quirinale, che alla signora Anna Craxi, vedova di Bettino, scrisse parole inedite, di denuncia del Caso C. Pur rispettando l’esito dei procedimenti processuali, riconobbe che nei confronti di Craxi ci fu “una durezza senza eguali”.
Napolitano citò anche una delle sentenze che la Corte Europea dei diritti dell’uomo riconobbe non valida perché giunta in mancanza di un giusto processo. Pregò la signora Craxi di estendere quella lettera ai figli Stefania e Bobo e a tutta la famiglia. Vi riconosceva che l’opera e il valore della figura dello statista socialista, le sue riforme, non potevano essere liquidate dal maglio di “mani pulite”, anche se il presidente, maestro di scrupolosa diplomazia, non usò queste esatte parole. Ma “la durezza senza eguali” fu messa nero su bianco , come riconoscimento altisonante della tragedia politica e personale che colpì Craxi e con lui la sua famiglia. Un riconoscimento forte, fatto da un presidente della Repubblica, in passato uno dei leader dell’ala “migliorista” del Pci, che con la politica riformista di Craxi concordò in più occasioni, fino a restare vittima di una sorta di emarginazione in quel partito dove vigeva la regola dell’ unanimismo del centralismo democratico. Un po’ sul modello sovietico.
La signora Anna ne rimase sorpresa e commossa. Sono a tutt’oggi le parole più autorevoli e più forti che sono provenute da quel mondo comunista che fu il principale avversario di Craxi, il leader moderno della sinistra anticomunista, fino ad essere più avanzato rispetto alle stesse socialdemocrazie europee. Napolitano, il figlio di una famiglia liberale altoborghese di Napoli, frequentata da Benedetto Croce, colmò con quel gesto anni di vuoto, di abbandono, ad eccezione della vicinanza di Silvio Berlusconi, Francesco Cossiga che andò a trovarlo poco prima del Natale del 1999 , e pochi altri, in cui fu lasciato in esilio quell’ex presidente del Consiglio e leader del Garofano, abbandonato dai suoi stessi compagni di partito. Ad eccezione di Gianni De Michelis, a sua volta colpito da vicende giudiziarie, costretto a telefonargli dalle cabine telefoniche e pochi altri.
Napolitano, il primo comunista ad ottenere il lasciapassare per la Casa Bianca, eppure era stato anche il presidente della Camera che negli anni bui di Tangentopoli aveva permesso alla Guardia di Finanza di varcare la soglia, fino ad allora invalicabile, di Montecitorio. Stefania Craxi, figlia dello statista socialista, oggi senatrice di Forza Italia, presidente della commissione Esteri e Difesa, ricorda la proficua collaborazione con Napolitano nelle missioni internazionali quando lei ricopriva il ruolo di sottosegretario agli Esteri dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi, ricorda anche certa “indeterminatezza nel difendere il primato della politica”, ma non può dimenticare quelle belle parole per suo padre. Con lo sforzo di Napolitano e implicitamente di tutta quell’area migliorista che cercò invano di ricomporre la frattura a sinistra. Area composta anche dal compagno e amico fraterno Emanuele Macaluso, il cui stretto collaboratore Giovanni Matteoli collaborò poi come consigliere con Napolitano al Quirinale e gli è stato vicino fino all’ultimo, quando ha ricoperto la carica di senatore a vita, fino a ieri sera accanto al letto di morte.
“Con Giorgio Napolitano scompare un protagonista assoluto del panorama politico-istituzionale italiano, un uomo del Novecento, figlio della Repubblica dei partiti, che ha incarnato la forza e le contraddizioni del movimento comunista”, scrive la senatrice Craxi dagli Usa dove è ancora in missione dopo il summit dell’Onu, con il premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani. Prosegue: “Ho sempre nutrito nei suoi confronti un grande rispetto, un sentimento rafforzatosi negli anni del mio impegno istituzionale da sottosegretario agli Esteri, nelle numerose occasioni di confronto e nelle missioni svolta al suo fianco”. Ma ricorda anche la senatrice Craxi: “Al presidente Napolitano ho anche addebitato pubblicamente una mancanza di determinazione negli anni del suo incarico al vertice della Camera dei deputati nella difesa della dignità e dell’autonomia della politica dall’aggressione mediatica e giudiziaria”. Però, conclude: “Non dimentico le sue parole, messe nero su bianco in una lettera a mia madre nel decennale della scomparsa di Bettino Craxi, quel suo riferirsi alla ‘durezza senza eguali’ che si abbatté sul leader socialista. Fu un gesto importante, compiuto da un comunista che aveva a lungo sperato nella ricomposizione unitaria della sinistra italiana”.
Quelle parole di Napolitano, che purtroppo però non ebbero seguito in una sinistra, che, salvo rare eccezioni, non ha ancora fatto trent’anni dopo i conti con Craxi, restano scolpite anche nella memoria del figlio di “Bettino”, Bobo Craxi, che, appena appresa la notizia del decesso di quel presidente venuto dal mondo comunista ha scritto sui social: “A lui devo segni di amicizia e stima personale e serbo il ricordo di quella solenne e significativa lettera che da Capo dello Stato inviò a mia madre in occasione del decennale della scomparsa di mio padre Bettino. Un gesto politico che non può essere dimenticato”.