È meglio che Giorgia Meloni non abbia partecipato al vertice ucraino dei “volenterosi” o avrebbe dovuto andare mettendosi in disparte, di profilo, davanti alla finestra? Il livello del dibattito politico non va oltre il dilemma morettiano. E colpisce che su questioni così drammaticamente importanti, stavolta, anche Carlo Calenda si accodi (o accordi) al ripetitivo coro polifonico delle opposizioni, con il Pd dilaniato dalle correnti, l’M5s in cerca di identità (al punto da rinnegare il principio egalitarista “uno vale uno”), il disco rotto di +Europa e Matteo Renzi in forsennata promozione del proprio libro.
Il leader di Azione ha definito “incomprensibile la decisione di Meloni di non essere fisicamente presente, dobbiamo scongiurare un rischio di spostamento dell’asse da Italia-Francia-Germania a Germania-Francia- Polonia”. Calenda è uomo d’onore o almeno ragionevole, dice spesso cose sensate e sa che l’informe e informale coalizione volenterosa è un guazzabuglio scivoloso: neppure i partecipanti sanno dove porti. Non esserci può quindi essere la scelta meno peggiore, come alla festa di “Ecce bombo”.
Il governo si muove in modo incerto, lento? Forse, ma è meglio. È preferibile la giusta distanza che rincorrere gli stop&go di una pericolosa realtà conflittuale. Ieri Donald Trump ha annunciato che grazie ai quattro giorni di “colloqui mediati dagli Stati Uniti” India e Pakistan hanno raggiunto un “pieno e immediato” cessate il fuoco, ma l’India ha denunciato la violazione dell’accordo appena raggiunto da parte del Pakistan. L’ambasciatore Usa in Israele ha definito “una sciocchezza” la notizia secondo cui Trump si appresterebbe a riconoscere lo Stato palestinese. Il cessate il fuoco di 72 ore imposto dalla Russia in Ucraina, secondo Kiev, è stato una messa in scena e violato da Mosca centinaia di volte.
Anche ammesso di partecipare per essere inquadrati nelle foto di famiglia e ascoltare in viva voce i leader che fanno la “fruttuosa chiamata” con Trump (in un comunicato italiano, la frase avrebbe scatenato il sarcasmo dei vignettisti sul “kissing my ass”), come porsi rispetto all’egotismo patologico di Emmanuel Macron e al prolisso, roboante Keir Starmer, che dichiara “Non prenderò fiato finché non avremo garantito una pace giusta e duratura”? Il Cremlino peraltro “valuterà” la proposta di cessate il fuoco ma Vladimir Putin ha già rintuzzato gli “ultimatum” dei volenterosi, che quindi ora dovrebbero approvare nuove “pesanti sanzioni” contro la Russia. Ottimo risultato.
Sensato è semmai, se non si partecipa, evitare di scivolare su altre posizioni compromettenti. Ieri Meloni ha annunciato lo slittamento di ben tre settimane dell’incontro col premier slovacco, previsto per martedì prossimo. Robert Fico è stato l’unico leader europeo presente alle celebrazioni a Mosca per l’80esimo della vittoria russa sulla Germania nazista e l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas l’ha cazziato: “Non riesco a capirlo. Tutti coloro che sostengono la libertà, l’indipendenza e i valori europei dovrebbero essere in Ucraina, non a Mosca”.
In un quadro tanto convulso lentezza, incertezza, distanza e assenza apparenti possono essere un vantaggio geopolitico. I primissimi segnali del pontificato di Leone XIV continuano a incoraggiarci, ovviamente giudizi più assennati prevedono tempi lunghi, visto che età e forma del Pontefice fanno prevedere un mandato di diversi decenni. Soprattutto colpisce la sua centralità cristologica, che i commentatori di cortissimo respiro dei nostri media appiccicano a una o all’altra delle realtà contingenti e che invece speriamo rimandi alla lungimiranza di una Chiesa che punta alla conversione dei cuori come premessa della soluzione delle crisi. Anche solo un pizzico di questa lentezza, di questo mistero, di questa distanza metafisica potrebbe fare bene alla geopolitica, nostra e altrui.