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Lo scenario di Giorgia e il nuovo ordine mondiale di Shanghai

Il futuro di Meloni, disegnato e reale: l'Italia sta meno peggio dei vicini, l'incertezza internazionale la aiuta, ma rischia la depressione. Il corsivo di Battista Falconi.

Il discorso di Giorgia Meloni al Meeting di Rimini ha riscosso grande successo, a molti è parso il primo vero scenario delineato dal suo insediamento. Abbiamo superato la metà del mandato, si avvicinano il prossimo confronto elettorale e, prima, una complicata sessione di confronti regionali. Il Pd, con inquietudine comprensibile, ha colto l’intenzione meloniana di allargare la maggioranza e la propria prospettiva politica al “grande centro”. L’area cattolica, borghese, moderata in senso non ideologico, che include: la Cisl, con cui già ci sono ottimi rapporti e di cui si è approvata la proposta per la partecipazione dei lavoratori alle imprese (idea non della Destra sociale ma della Dottrina sociale della Chiesa!); il mondo meridionale che a questo sindacato fa riferimento, vedi il ruolo governativo di Luigi Sbarra; la Chiesa che con papa Leone promette ben più della simpatia personale di Bergoglio; i popolari già in maggioranza con Maurizio Lupi e Forza Italia, e con Piersilvio Berlusconi pronto a scendere in campo.

Tale eventualità potrebbe giovare alla leadership meloniana, i rapporti col figlio del Cavaliere potrebbero essere migliori di quelli con Antonio Tajani e la figura risulterebbe utile laddove Giorgia ambisse a un altro incarico, Quirinale o Ue. Un’ipotesi ancora fantapolitica ma, ricordiamo, avanzata pochi giorni fa da Lamberto Dini.

A proposito di “grandi vecchi”, merita ricordare altri due recenti interventi, quelli di Giuseppe Rita sul ceto medio e di Mario Draghi sull’irrilevanza europea. Due questioni connesse. L’attuale consenso del governo poggia sulla consapevolezza che l’Italia, tutto sommato, dal punto di vista politico ed economico sta meno peggio di altri membri dell’Unione. Gran Bretagna, Spagna, Germania e Francia soffrono di una forte instabilità, nell’ultimo caso ai limiti del golpismo (btw: lo scontro tra Chigi e Bayrou ha fatto impallidire quello Macron-Salvini), e le nostre performance sono relativamente migliori grazie a una dinamica paradossale: chi stava più indietro, noi soprattutto con il Sud, ha ancora margini di sottosviluppo da colmare.

Ragioniamoci, mentre si tiene la riunione della Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (la Milano o New York cinese), tra le nazioni che chiamavamo “non allineate” e Brics, il Sud-est del pianeta che, per l’appunto, trova nella sua arretratezza le opportunità di sviluppo e crescita. Tra Stati che, sedendosi al tavolo per programmare il loro “nuovo ordine mondiale”, convertono in collaborazioni alcune ataviche rivalità, quelle tra Cina e India a livello globale, e tra Turchia ed Egitto nel Mediterraneo e nel Nord Africa.

In questo scenario, diceva Draghi a Rimini, l’Ue è periferia. Banale, forse, ma ha ottenuto i consensi di Kaja Kallas, Prodi, Meloni e persino Matteo Salvini (che quando si critica Bruxelles e Strasburgo è sempre d’accordo), perché dice il vero: i competitor riuniti a Shanghai hanno un solo interlocutore, gli Stati Uniti.

Anche gli States però sono molto indeboliti. Non da Trump, dalla sua pazzia imprevedibile, egocentrica, autoritaria, contraddittoria, improvvisata, che gli permette di prendere decisioni veloci, restando al centro del ring e della scena; bensì, al contrario, dal condizionamento democratico che vincola Donald molto più di Xi, Modi o Erdogan. Nel giro di pochi giorni, l’inquilino della Casa Bianca ha ricevuto un sfilza di pareri contrari su dazi, migranti e militarizzazione delle città. Lo scontro o equilibrio di poteri non è un problema solo italiano e colpire il Presidente su tariffe, guerre, migranti, politica internazionale o sicurezza urbana, temi tenuti affiancati dallo stesso Trump anche al vertice di Washington, punta a indebolirlo nel suo ruolo e nelle sue ambizioni, tipo il Nobel.

Ma torniamo a De Rita e al Censis: è vero che parlano di crisi del ceto medio da 30 anni, quasi un ritornello, ma ripetendolo adesso colgono un punto decisivo: Meloni, nel contesto di incertezza internazionale che le gioca a favore, rischia quella che è stata chiamata “decrescita felice”. Anche se l’espressione più appropriata sarebbe “depressione tranquilla”. L’Italia non ha quasi più lo “Stato sociale”, come titolano i giornaloni, ma guarda al futuro con un tesoretto sufficiente per garantirsi da difficoltà eccessive: figli e nipoti non avranno una previdenza soddisfacente, ma spesso una piccola rendita immobiliare o finanziaria ereditata li salverà. Nel frattempo, però si muove con prudenza, andiamo in vacanza per meno giorni, soprattutto al mare che è caro, vedi i dati dei balneari. Giorgia rischia insomma di gestire un paese nello stallo, che cammina a passetti microscopici.

Finché staremo abbastanza in pace, peraltro. Ricordiamo che il tre settembre, dopo il vertice di Shanghai, a Pechino si terrà una parata per la fine della Seconda guerra mondiale cui parteciperà anche il leader della Corea del Nord, forse il più guerrafondaio oggi al potere. E c’è sempre Taiwan da sistemare. Meglio non farsi illusioni, riguardo all’illusione di mettere fine ai conflitti con tregue, accordi, cessate il fuoco e marce per la pace.

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