Una coincidenza forse casuale, ma comunque interessante, offre a Giorgia Meloni la possibilità di stagliare in solitudine il proprio profilo di leader alla Cop29 di Baku, data la mancanza di altri capi di governi e di stati di rilievo. La Presidente italiana ha confermato di esserci, mentre hanno dato forfait il premier giapponese Fumio Kishida, l’australiano Anthony Albanese, il canadese Justin Trudeau, il presidente francese Emmanuel Macron, dopo che Parigi ha condannato l’offensiva dell’Azerbaigian contro gli armeni nel Karabakh, e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, impegnata nella preparazione del suo secondo mandato. Problemi di salute per Re Carlo, che il Regno Unito non aveva comunque eletto come rappresentante, nonostante il suo impegno sul tema climatico, e per l’ambientalistissimo brasiliano Ignacio Lula, convalescente dopo un trauma cranico e in procinto di ospitare la Cop30 a Belem l’anno prossimo. Non ci sarà neppure la Papua Nuova Guinea, il cui primo ministro James Marape ha definito il vertice “una totale perdita di tempo” data la mancanza di “sostegno rapido alle vittime del cambiamento climatico”.
Le sfighe di vario genere convergono così con la questione sostanziale, cioè la crisi di credibilità e utilità delle Cop, sollevata da più parti in relazione sia alla cadenza annuale, che può avere forse un senso per tavoli tecnici ma non per passerelle di leader globali, sia all’impatto ambientale di tali kermesse, oggettivamente irrisorio ma simbolicamente molto significativo, sia soprattutto alla parzialità geopolitica degli accordi. E veniamo così alle ultime e più indicative assenze a Baku: non ci saranno Xi Jinping né Vladimir Putin, il cancelliere tedesco Olaf Scholz non può presentarsi dopo il crollo della sua coalizione di governo, così come le elezioni americane mettono fuori gioco Joe Biden, peraltro già assente lo scorso anno.
Il quadro desolante ricorda un po’ la catastrofica gestione della crisi mediorientale da parte di Unrwa e Unifil e si inserisce nella opaca segreteria Onu di António Guterres. Altre agenzie internazionali non se la passano male, anzi: Aiea, che si occupa del nucleare, si è per esempio riunita nei giorni scorsi alla Farnesina per cavalcare l’energia da fusione, che potrebbe aiutare a spezzare il circolo vizioso dell’attuale paradigma energetico-ambientale. Il problema delle Cop è invece che poggiano su un modello di risoluzione dei cambiamenti climatici obsoleto e velleitario, che andrebbe ridisegnato abbinando alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti la ricerca di nuove fonti, capaci di soddisfare i crescenti bisogni in modo più deciso rispetto alle rinnovabili.
L’attuale processo va corretto poiché vede molti paesi inquinatori fuori dagli accordi e l’insofferenza crescente degli aderenti per le conseguenze socio-economiche della road map stabilita. Il caos del automotive è emblematico, i fallimenti degli stakeholder europei del settore provocano evidenti conseguenze elettorali, l’esito contraddittorio è avvantaggiare i sempre più disinvolti cinesi che, vedi anche il fotovoltaico, dopo aver concorso a creare il guaio, lo aggiustano e presentano la fattura al danneggiato. Un impianto pericolante sul quale l’immediato ritiro dagli accordi parigini sul clima di Donald Trump, ventilata in questi giorni, si abbatterebbe come un colpo di grazia. E per il quale i buonisti auspici di Papa Francesco sono, così come per le guerre mediorientale e russo-ucraina, moniti alti quanto ininfluenti.
A Meloni si offre pertanto un’occasione preziosa, del genere che già in passato e in occasioni diverse ha dimostrato di saper cogliere con pragmatica abilità: presentarsi come mediatrice tra l’estremismo rappresentato dall’ex Commissario europeo per il clima Frans Timmermans e il negazionismo di cui Trump potrebbe farsi latore per contentare parte del proprio elettorato. “Il mondo sta ancora sottovalutando i rischi climatici” ha detto Guterres. “Stiamo per giungere a una serie di punti di non ritorno che accelereranno drasticamente gli impatti del cambiamento climatico. È assolutamente essenziale agire ora e ridurre drasticamente le emissioni”.
Una prosa catastrofista che non funziona, quella del segretario Onu, al di là della sua dubbia aderenza sostanziale a una realtà che necessiterebbe di maggiori e migliori conoscenze, perché la paura che intende indurre si è dimostrata inutile per superare gli ostacoli oggettivi: da chi dovrebbero essere pagati i 100 miliardi di dollari in scadenza il prossimo anno per decarbonizzare il mondo? Gli Arabi continuano a vivere di sfruttamento dei combustibili fossili, la Cina è ancora classificata paese in via di sviluppo. Dagli scienziati non ci attendiamo solo i vaticini sul riscaldamento globale ma anche soluzioni innovative capaci di conciliare esigenze troppo contrastanti.