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Giorgia Meloni, l’autonomia dell’Alto Adige e lo spauracchio dell’Austria

Dopo la quietanza liberatoria la controversia è chiusa. E il presunto “ancoraggio internazionale”, che l’Italia ha sempre contestato, un’arma ormai scarica e anacronistica. Appunti per Meloni nel taccuino di Guiglia 

Ma chi tutelerà l’autonomia dell’Alto Adige, ora che Giorgia Meloni, alla guida della destra “nazionale”, s’accinge a diventare -previo incarico del Quirinale- la prima donna a Palazzo Chigi? Chi sarà il guardiano del faro: la Svp? I partiti del centrosinistra? L’Austria?

Sono i quesiti che in provincia si pongono politici e studiosi.

Ma dopo decenni di prerogative costituzionali in pieno corso e vigore, tali interrogativi appaiono stravaganti: l’autonomia si difende da sé. Dal buon uso che ne fanno gli eletti al Consiglio provinciale. Dalla leale collaborazione con Roma, dove risiede, prima ancora che il governo, il Parlamento, fonte di tutti gli ampi poteri legislativi e amministrativi attribuiti ed esercitati in Alto Adige.

Ma se -ipotesi- in un raptus di centralismo vendicativo la Meloni volesse impedire a Bolzano di fare ciò che Bolzano fa da mezzo secolo e oltre (la prima autonomia regionale, si sa, risale al 1948), che cosa accadrebbe?

Niente. La peculiarità altoatesina è così radicata nell’ordinamento nazionale, che dal 2001 lo stesso toponimo “Südtirol” è inciso accanto ad “Alto Adige” nella Costituzione della Repubblica (articolo 116). Südtirol e la sua autonomia sono dunque Italia a pieno titolo, e indietro non si torna.

Eppure, chi si preoccupa per ciò che non potrebbe succedere, e che perciò non succederà, si rifugia nel mantra: attenzione, la nostra specialità è salvaguardata dall’Austria. E c’è “l’ancoraggio internazionale”.

Obiezione, se è permesso. Il punto di vista di Vienna -“noi siamo i tutori del Südtirol”-, non ha mai coinciso con quello di Roma, che ne ha sempre ricordato uno opposto in ogni sede nazionale, bilaterale, internazionale: l’Alto Adige non è in comproprietà con nessuno da almeno cent’anni.

In civile condominio c’è solo l’Accordo De Gasperi-Gruber del 1946 -peraltro adempiuto ben oltre le sue indicazioni: basta leggerlo- e che non prevede alcuna cogestione di sovranità fra Stati. Come avrebbe potuto, del resto? La Storia non si cambia retroattivamente.

Dare, allora, per scontato ciò che scontato non è, far credere che Vienna sia di fatto o di diritto plenipotenziaria sull’Alto Adige, è solo l’opinione, la speranza, l’auspicio di una parte, non il Vangelo da prendere per oro colato. Un’opinione ripetuta mille volte, anche se la si vuole far passare per pensiero unico, non si trasforma in verità: resta un punto di vista. Per giunta parziale e discutibile.

L’effetto del punto di vista presentato come un dogma, non risparmia neppure la “quietanza liberatoria”. Eppure, lo dice l’espressione stessa, dal 1992 ha chiuso definitivamente la controversia italo-austriaca sull’interpretazione dell’attuazione dell’Accordo De Gasperi-Gruber. Chiuso, non riaperto all’infinito. Nella molto evocata nota accompagnatoria con cui il governo italiano dell’epoca comunicava all’ambasciata austriaca a Roma la fine della contesa, la storica e rigorosa posizione dell’Italia non veniva cancellata, ma solo ammorbidita nei toni, aggiornata nei contenuti e arricchita con le richieste “a garanzia” poste dalla Svp. Apertura e cortesia: che male c’è?

Se oggi, trent’anni dopo, si rilegge quella lettera senza animosità né pregiudizi, si potrà notare che l’“accordo nel disaccordo” fra le due posizioni, l’italiana e l’austriaca, nella sostanza rimane.

Dunque, agitare l’ancoraggio come uno spauracchio se l’Italia non rigasse dritta sull’autonomia in Alto Adige, significa rispolverare un’arma scarica.

Prospettare, oggi, un foro giuridico in caso di controversie, vuol dire non accorgersi che è cambiato il mondo. Italia e Austria convivono nell’Unione europea: potranno mai prendersi a sberle due Paesi alleati e amici per un cavillo atesino, o cento cavilli? Crescono, invece, in casa e non fuori le forme di autotutela più robuste di qualsivoglia verdetto di corti internazionali. Nell’ipotesi -pura accademia- di stravolgenti violazioni, chi rappresenta la minoranza di lingua tedesca può arrivare alla Corte Costituzionale. Può mobilitare governo e Parlamento. Può rivolgersi al Quirinale. Può ricorrere alle magistrature. Sono strumenti di protezione massima rispetto all’enigma dell’Aja ormai del tutto “fuori dal mondo”. Almeno il mondo nostro e occidentale, che vive di libero confronto e ritrovata riconciliazione, non di conflitti permanenti, immaginari o immaginati. E poi: perché non riconoscere, finalmente, che l’autonomia più generosa dell’universo è anche la più blindata? Si tutela da sé in Italia, non altrove. Basta menare il can per l’Aja.

Il tempo, che tutto rasserena e risolve, aveva già reso anacronistico il duro scontro diplomatico fra Roma e Vienna (ecco il perché di quella nota accompagnatoria italiana che profuma di spirito europeo).

D’altra parte, che il rapporto Roma/Vienna sia opportuno e proficuo, lo testimonia, da ultimo, la sgangherata idea del doppio passaporto.

A fronte dell’irremovibile “no” dell’Italia, l’Austria ha subito archiviato la pratica con saggezza. Il buonsenso non va in tribunale.

Per Roma a volte è più facile intendersi con Vienna che con Bolzano. Accade, perché le più alte istituzioni austriache e italiane sono oggi chiamate ad affrontare insieme problemi gravissimi: la guerra di Putin e il caro-energia, il clima e la pandemia, l’economia in crisi e il lavoro che non c’è. Per fortuna di tutti l’autonomia dell’Alto Adige/Südtirol non è più un problema per nessuno. Questione risolta, ce ne siamo “liberati”, come la quietanza rilasciata e firmata dall’Austria timbra con parole definitive.

Tutto lascia pensare, allora, che l’autonomia non sarà un problema neanche per la Meloni. Che potrebbe, chi lo sa, fare il contrario di quel che altri temono: ispirarsi all’esempio di questa specialità per proporre, nel mondo che cambia, qualcosa di simile al Veneto e altrove. Si chiama, proprio in tedesco, “Realpolitik”.

Perché il passato è passato per tutti. E il futuro della memoria si costruisce all’insegna di un valore nuovo e antico: la fraternità, ecco la sfida più bella e più grande per la convivenza intoccabile fra gli “altoatesini dalle tre lingue”.

 

Pubblicato sul quotidiano Alto Adige

www.federicoguiglia.com

 

 

 

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