skip to Main Content

Merkel

Chi sono gli analisti che in Germania bacchettano le russate di Merkel e Schroeder

Le analisi degli esperti in Germania sulla guerra in Ucraina e sulle strategie di politica estera del governo tedesco. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Abbandonano il terreno neutrale degli studi e scendono in campo per una nuova politica tedesca verso la Russia novantanove esperti di Europa dell’Est, attraverso un manifesto pubblicato sugli organi di informazione e sui social media. A firmarlo professori e ricercatori universitari, storici, pubblicisti, direttori di think tank e fondazioni e anche ex ministri degli Esteri, come il polacco Radek Sikorski (che è anche il marito della storica statunitense Anne Applebaum) e Markus Meckel, ministro dell’ultimo governo della Ddr (l’unico votato in elezioni libere dopo la caduta del Muro di Berlino). Rappresentano l’ossatura dell’intellighenzia centro-europea, e tedesca in particolare, per quel che riguarda gli studi sull’Europa orientale.

Il loro è soprattutto un atto di accusa nei confronti della politica tedesca, che decreta il fallimento della Ostpolitik nella versione rimodulata da Gerhard Schröder prima e da Angela Merkel poi negli ultimi due decenni. Una politica basata “sulla speranza di attenuare le crescenti ambizioni neo-imperialiste di Mosca con una combinazione di intensa diplomazia, integrazione contrattuale e molteplici rapporti commerciali”. La Germania, proseguono i firmatari, ha volutamente sottovalutato le azioni russe in Moldavia, Georgia e Ucraina (2014), firmando nel 2015, cioè un anno dopo l’annessione della Crimea e la pseudo guerra civile in Donbass, l’accordo per il deposito sui fondali del Mar Baltico dei tubi del Nord Stream 2.

Una reazione risoluta dell’Ue nel 2014 avrebbe potuto evitare il peggio, denunciano ancora gli autori del manifesto, ma l’Europa ha ascoltato il governo di Berlino e non quelli delle nazioni orientali come Polonia e Paesi Baltici che, forti della loro esperienza diretta con Mosca, “diffidavano della credibilità di Putin e suggerivano una politica più realistica verso la Russia”.

Potrebbero sembrare giudizi col senno di poi. Ma basta ridare una lettura a quel che scriveva nell’agosto dello scorso anno il bimestrale Osteuropa, pubblicazione specialistica sull’area est-europea, nel numero dedicato all’arco delle crisi composto da Russia, Bielorussia e Ucraina: “Putin minaccia l’Ucraina (e l’Ue) con una nuova guerra”. Putin e Lukasenka hanno bisogno di repressione, crisi e minacce bellicose come dell’aria per respirare, aggiungeva il direttore Manfred Sapper. “Chi sceglie di resistere entra in un campo in cui questi regimi spietati hanno la loro forza. Chiunque pensi di ricondurli alla ragione con il dialogo non capisce la loro natura. Ora servono i vecchi strumenti della cassetta degli attrezzi della politica internazionale: un’analisi sobria degli interessi, una valutazione realistica delle forze, un’azione lungimirante, tono obiettivo e coerenza nell’azione”.

Le analisi dei principali think tank tedeschi di politica estera erano chiare da tempo, anche di quelli solitamente molto ascoltati dal mondo politico. Ma il governo non ha voluto o saputo ascoltarli. Nel canovaccio del programma del nuovo esecutivo, quasi tutto concentrato sulle sfide interne della transizione ecologica e della digitalizzazione, non si accennava ad alcun cambio di passo, neppure minimo, nella politica internazionale, che per la Germania significa anche e soprattutto politica commerciale. Anche questioni più spinose come il Nord Stream 2 (da sempre avversato dai Verdi) erano state poste sotto traccia, nella certezza che la Realpolitik avrebbe con il tempo ammorbidito le resistenze ecologiste. Fino all’ultimo, Olaf Scholz aveva ripetuto il mantra merkeliano: la pipeline è un progetto economico, non geopolitico.

Oggi la Dgap, la Società tedesca per la politica estera, forse il principale istituto che consiglia i governi tedeschi sugli affari esteri, presenta il conto. E mette nel mirino gli interessi strategici russi nell’area baltica, ritenendo realistiche le minacce di escalation nucleare. Insomma, una pietra tombale sull’Ostpolitik tedesca che impone di andare fino in fondo nel ripensare le relazioni con la Russia e di investire in sicurezza e difesa attraverso una politica di riarmo. “C’è bisogno di una svolta culturale e mentale”, ha scritto Stefan Meister, esperto di Europa dell’Est della Dgap, “la Germania deve capire che il dopo guerra fredda è finito e che la guerra è tornata in Europa con tutte le conseguenze. Putin non ha limiti, è in grado di trattare e bombardare allo stesso tempo, l’Ucraina è solo l’inizio”.

Anche la Stiftung Wissenschaft und Politik (Fondazione Scienza e Politica, Swp) considera ormai distrutto l’ordine di pace europeo ereditato dalla fine della guerra fredda: “Con l’attacco all’Ucraina Putin ha creato una nuova situazione geostrategica”. Nello scenario bellico immediato, il think tank berlinese invita i paesi occidentali alla prudenza: “Man mano che i problemi della guerra convenzionale della Russia si aggravano, Putin potrebbe sentirsi sempre più messo alle strette e tentato di far tintinnare di più la sciabola nucleare. L’Occidente deve osservare attentamente questi sviluppi, ma deve evitare di cadere nel gioco dell’escalation di Putin”.

Quanto all’Ucraina, Kai-Olaf Lang, Senior Fellow dell’Swp e Piotr Buras, direttore della sede di Varsavia dell’European Council on Foreign Relations consigliano il governo tedesco a compiere un passo ulteriore in sede Ue: la membership ucraina nell’Unione è lontana nel tempo, ma al di là del gesto simbolico di annunciarla è possibile offrire a Kiev “una rapida integrazione nel mercato comune, nella forma di un suo ingresso nello spazio economico dell’Ue”. Un’ipotesi che i due esperti suggeriscono di estendere anche a Moldova, Georgia e Balcani occidentali: “Ciò comporterebbe legami più stretti con l’Ue di quanto non sia possibile con gli attuali accordi di associazione”.

Back To Top