Per far fronte alla carenza di manodopera i tedeschi devono tornare a lavorare di più, avverte il presidente dell’Istituto di ricerca economica Iw di Colonia. I tempi delle vacche grasse sono finiti, l’incubo di inizio Duemila di tornare a essere il malato d’Europa riempie le cronache dei quotidiani, ma nel giorno in cui il presidente dell’autorevole think tank renano lancia l’appello ai suoi connazionali a rimboccarsi le maniche, il primo articolo più letto sul sito del telegiornale della tv pubblica Ard riguarda la richiesta dei medici di base di introdurre nel diritto del lavoro tedesco una sorta di siesta estiva, una pennichella pomeridiana per sopportare meglio le alte temperature delle settimane più calde.
Più che alle tirate stakanoviste degli economisti, i tedeschi sembrano più interessati alle proposte messicane (o sud europee) dei medici di base. D’altronde, la salute prima di tutto.
LA PROPOSTA DEI MEDICI TEDESCHI: FARE COME AL SUD
Va detto che i medici, nella loro proposta ai datori di lavoro, non pensano a ridurre l’orario di impiego, ma a rimodularlo. “Dovremmo prendere spunto dalle pratiche lavorative dei paesi del Sud quando fa caldo”, ha dichiarato il presidente dell’Associazione federale dei medici del servizio sanitario pubblico, Johannes Nießen, “alzarsi presto, lavorare in modo produttivo al mattino e fare una siesta a pranzo è un concetto che dovremmo adottare nei mesi estivi”.
Il tema appassiona, anche se nella media l’inizio delle attività lavorative in Germania – d’estate come d’inverno – è già un po’ anticipato rispetto ad esempio al sud d’Europa, e semmai tende a concludersi prima, con il leggendario Feierabend, il periodo del dopolavoro prima di rientrare a casa dedicato a una birra in una Kneipe che inizia intorno alle cinque del pomeriggio. Ma Nießen insiste: “Con il caldo intenso, le persone non sono efficienti come al solito. Il sonno insufficiente, in assenza di refrigerio notturno, porta anche a problemi di concentrazione. Le esigenze lavorative complesse dovrebbero quindi essere rimandate alle prime ore del mattino”.
E conclude con consigli che al di sotto delle Alpi appaiono superflui: “Inoltre, è necessario disporre di un numero sufficiente di ventilatori e di abiti più leggeri, anche se il codice di abbigliamento dell’ufficio non lo consente”. E per chi ha il privilegio dell’home office, “un pediluvio freddo sotto la scrivania è un altro modo per rinfrescarsi nell’ufficio di casa”.
LA RICHIESTA DEI SINDACATI
Anja Piel, a capo della Deutscher Gewerkschaftsbund (Dgb), la maggiore confederazione sindacale della Germania, prende la palla al balzo e chiede che gli imprenditori introducano come standard nelle aziende valutazioni del rischio calore durante i mesi estivi per garantire la sicurezza sul lavoro in caso di temperature elevate. “Le valutazioni del rischio sono la base per una protezione su misura”, dice Piel, e non averle adottate costituisce “una omissione da parte dei datori di lavoro che è del tutto inaccettabile alla luce dei cambiamenti climatici e delle estati estremamente calde”. E chiede che gli uffici con temperature superiori ai 35 gradi vengano chiusi, a meno che il datore di lavoro non fornisca ausili come le docce ad aria.
Anche Robert Feiger, presidente dell’Industriegewerkschaft Bauen-Agrar-Umwelt (Ig Bau), il sindacato dei lavoratori edili, settore particolarmente sensibile alle condizioni meteorologiche, dichiara che “naturalmente, dobbiamo proteggere soprattutto i lavoratori che sono costretti a lavorare all’aria aperta in questo caldo soffocante”.
GLI ECONOMISTI INTERROMPONO LA SIESTA: BISOGNA LAVORARE DI PIÙ
La proposta dei medici ha trovato subito eco favorevole nel dibattito che ne è scaturito, sebbene quest’anno, almeno per la Germania, la discussione sia un po’ forzata, dal momento che vere e proprie ondate di calore non si sono ancora verificate, tutt’al più un paio di puntate attorno ai 35 gradi subito rientrate. Ma in periodo estivo anche informazioni vissute di sponda diventano notizia e l’ondata di caldo italiana occupa le prime pagine dei giornali tedeschi rimbalzando dibattiti di stampo mediterraneo. Un’approvazione autorevole alla siesta arriva dal ministro socialdemocratico della Sanità, Karl Lauterbach, per il quale l’idea “non è affatto malvagia”, ma il governo non interverrà con una propria proposta. “Datori di lavoro e dipendenti dovrebbero negoziare autonomamente”, ha detto Lauterbach, “quel cche è certo è che dal punto di vista medico una misura del genere ha senso per molte professioni”.
A spegnere gli entusiasmi per sieste e pennichelle ci pensano gli economisti, preoccupati molto più dalla carenza di manodopera che dalle incursioni di Caronte. Michael Hüther, direttore dell’Iw di Colonia, istituto economico non a caso vicino al mondo imprenditoriale, è convinto che le misure prese dal governo per velocizzare gli ingressi di lavoratori stranieri e sburocratizzare meccanismi di riconoscimento dei percorsi d’istruzione maturati all’estero non avranno efficacia in tempi brevi, mentre l’emergenza è adesso. E ritiene che l’unica soluzione praticabile sia quella di chiedere ai tedeschi di lavorare di più.
Sieste estive a parte, per una popolazione sollazzatasi negli ultimi anni con idee di settimane lavorative di quattro giorni, è una doccia fredda, che però non aiuta contro il caldo. Per Hüther è a nord e non a sud che bisogna guardare. “In Svezia, un dipendente a tempo pieno lavora quasi 300 ore in più all’anno”, esordisce in un’intervista per il Tagesspiegel, giusto per mettere fin dall’inizio le cose in chiaro. E anche in Svizzera. “Dobbiamo tornare a lavorare di più”, dice il direttore dell’Iw, “ciò che serve è un’espansione dell’orario di lavoro individuale annuale, altro che il sogno irrealistico di una settimana di quattro giorni”.
Hüther mette in guardia da “distorsioni nell’economia” se non si pone rimedio alla carenza di lavoratori qualificati. “Già nel 2023, ci sarà una carenza di 4,2 miliardi di ore lavorative”, spiega, “l’immigrazione da sola non risolverà il problema, tanto più che anche i paesi vicini e in generale tutti i paesi industrializzati dell’emisfero settentrionale soffrono della stessa carenza e quindi la concorrenza sui lavoratori stranieri è altissima”.
“Dobbiamo sfruttare meglio il potenziale della nostra forza lavoro per effettuare la transizione verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico con una popolazione allora più ridotta”, ha concluso Hüther, prevedendo che “senza l’estensione dell’orario di lavoro, nei prossimi anni sarebbero possibili tassi di crescita dello 0,5-0,75% al massimo. E l’inflazione sarebbe del 3-3,5% per anni”. Numeri contro numeri, cifre dell’economia contro quelle dei termometri atmosferici. In attesa che la politica torni dalle ferie.