Ci voleva un governo di centro-sinistra per portare la Germania al momento di massimo isolamento in Europa. Neppure durante la crisi dell’euro, quando Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble impersonavano gli arcigni dispensatori di austerità e rigore, Berlino aveva perduto la sua centralità continentale. Oggi invece, nel pieno della crisi energetica, il paese sconta tutte le scelte derivate dalla sua decennale Ostpolitik.
IL MOTORE FRANCO-TEDESCO IMBALLATO
Molti sono i fronti aperti. In queste ore appare il tutta la sua evidenza la ruggine che imballa il meccanismo che da sempre governa i destini dell’Unione Europea, il motore franco tedesco. Le divergenze profonde sulla gestione dell’emergenza energetica hanno talmente diviso Parigi e Berlino da costringere i due esecutivi ad annullare definitivamente, dopo un primo rinvio, il tradizionale vertice intergovernativo previsto la prossima settimana a Fontainebleau.
E se la Francia ha stipulato poco tempo fa un accordo per forniture di gas alla Germania attraverso il gasdotto della Mosella, attivato lo scorso 13 ottobre, sul gasdotto dalla Spagna Parigi ha imposto la sua posizione: al posto del Midcat sponsorizzato dai tedeschi, Emmanuel Macron ha dato il via libera a un nuovo progetto, il BarMar, pipeline sottomarina che collegherà direttamente Barcellona a Marsiglia, tagliando fuori le speranze di rifornimento tedesche.
IL GRANDE FREDDO OLTRE L’ODER-NEISSE
Ma al grande freddo che in queste settimane si misura lungo il Reno, se ne aggiunge un altro che scorre lungo la linea di un altro fiume simbolico per la storia europea, questa volta a est: l’Oder-Neisse. In quello che un tempo veniva considerato il cortile di casa tedesco, il vasto territorio dell’Europa centro-orientale riemerso più di trent’anni fa dalle nebbie della cortina di ferro, la diffidenza nei confronti della Germania è sempre più palpabile.
Il cordone diplomatico la trattiene a stento. Una settimana fa, la ministra degli Esteri Annalena Baerbock ha fatto buon viso a cattivo gioco a Varsavia, quando ha ribadito da un lato la memoria per le responsabilità tedesche nelle devastazioni durante la seconda guerra mondiale, dall’altro il rifiuto di discutere la nuova richiesta di 1.300 miliardi di euro di riparazioni avanzata dai polacchi. Una questione che Berlino considera già chiusa con gli accordi passati, ha detto Baerbock.
Ma le frecciate da Varsavia continuano con cadenza periodica per quel che riguarda il fronte ucraino, in particolare per l’impegno tedesco sui rifornimenti bellici, considerato dai polacchi insufficiente. Il premier Mateusz Morawiecki è intervenuto più volte negli ultimi mesi per stigmatizzare lentezze e incertezze del governo di Olaf Scholz, senza mostrare più riverenza nei confronti dell’ingombrante vicino.
L’EGOISMO SUL NUCLEARE IRRITA CECHI E SLOVACCHI
Scendendo più a sud, non sono senza frizione anche i rapporti con Repubblica Ceca e Slovacchia, i cui governi rimproverano alla Germania egoismi energetici: i tedeschi chiedono solidarietà in caso di carenze di gas, ma non vogliono rinunciare alla sbandierata fuoriuscita dal nucleare, se non per qualche mese. Eppure, secondo Praga e Bratislava, mantenere attive le ultime tre centrali atomiche tedesche almeno fino al 2024 (come chiedono peraltro liberali e opposizione interna) servirebbe ad allentare la tensione: non si può chiedere mani tese da un lato e non tendere la propria dall’altro. Per non parlare dei rapporti con Viktor Orban, le cui posizioni “putiniane” risvegliano sensi di colpa ancora non sopiti, che si è pure preso il lusso di andare in Germania e dichiarare ai quattro venti di sentirsi orfano di Angela Merkel: se ci fosse stata lei, ha detto, questa guerra non sarebbe mai scoppiata. A Berlino sanno bene che temporanee convergenze, come quella che c’è stata contro il price cap sul gas, non possono costituire una base solida, perché Orban segue solo gli interessi suoi (e infatti dal price cap s’è sfilato strappando un’eccezione, cosa che i tedeschi non possono permettersi di fare). E poi per una coalizione di centro-sinistra che conta come partiti principali socialdemocratici e verdi Orban sarebbe un alleato imbarazzante.
DAI BALTICI DIFFIDENZA E SFIDUCIA
Ma è nelle Repubbliche del Baltico che il cambio di clima verso la Germania si avverte con maggiore nettezza. Anche perché con questi giovani Stati la comunanza di posizioni, al tempo delle crisi finanziarie e dei debiti pubblici, era stata blindata: tutti frugali, anche in nome dei grandi sacrifici di bilancio compiuti nella fase di avvicinamento all’Unione Europea. Ora serpeggia invece diffidenza. A differenza dei polacchi, che hanno sempre più puntato direttamente sugli Usa, i baltici sono stati a lungo convinti (forse anche per antichi legami storici) che la Germania sarebbe stata garante delle loro libertà e indipendenze ritrovate. Ma il pasticciaccio brutto del Nord Stream 2 e i tentennamenti con cui Olaf Scholz sta guidando la sua “Zeitwende” a est – la svolta epocale nella politica estera e di sicurezza – fanno sorgere più dubbi che certezze.
Se n’è avuta testimonianza questa settimana in occasione del Forum di politica estera organizzato a Berlino dalla Fondazione Körber: un annuale palcoscenico per ministri, diplomatici, esperti e giornalisti di mezza Europa che costituisce una vera e propria vetrina della bolla politica nella capitale.
In questo Forum, dove un po’ tutti si parlano addosso mettendo in fila buoni propositi, i due ministri tedeschi presenti (Esteri e Difesa) hanno speso gran parte del loro tempo a rassicurare lituani, lettoni ed estoni, i cui rappresentanti a vari livelli erano presenti in gran numero. “Noi siamo lì per voi, la sicurezza del Baltico e dell’Europa orientale è anche la sicurezza della Germania”, ha giurato Baerbock sottolineando il ruolo della Bundeswehr nella regione. Come leader dei Grünen la ministra gode di maggiore credibilità rispetto a qualsiasi esponente socialdemocratico o anche liberale presso le cancellerie est-europee. Ma lo scetticismo non si è dissolto e i ministri delle tre Repubbliche, intervenuti nel corso dei lavori, lo hanno espresso a chiare lettere, snocciolando i numeri non eccelsi dell’impegno tedesco per l’Ucraina ed enumerando le resistenze di Berlino verso una seria politica di difesa comune. A cominciare dalla realizzazione di un esercito europeo.