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Manifatturiero

Tutte le furbizie di Merkel fra surplus, Cina e intelligenza artificiale

L'approfondimento di Tino Oldani, giornalista di lungo corso, già a Panorama e ora firma di Italia Oggi

Meglio tardi che mai. Un recente report del Fondo monetario internazionale (Fmi) ha messo a confronto i surplus commerciali nel mondo, scoprendo ciò che i paesi europei più danneggiati dall’austerità imposta da Berlino all’Ue sapevano da tempo: il surplus commerciale della Germania supera ampiamente, da anni, il limite del 6% previsto dal trattato di Maastritch, ed è perciò da considerare tra le cause maggiori degli squilibri economici tra i paesi dell’Unione europea.

I NUMERI SUL SURPLUS COMMERCIALE

I numeri parlano da soli: nel 2017 la Germania di Angela Merkel ha accumulato un surplus commerciale di 296,4 miliardi di dollari, pari all’8% del pil tedesco e allo 0,4% del pil mondiale. Nessun paese al mondo è riuscito a fare meglio.

I POSTI AL VERTICE

Il Giappone, al secondo posto nella classifica del Fmi, nel gioco tra import ed export, ha registrato un surplus di 196,1 miliardi di dollari (4% del pil nipponico; 0,2% del pil mondiale). La Cina, terza classificata, vanta un surplus di 164,9 miliardi (1,4% del pil cinese, 0,2% del pil mondiale).

LA CLASSIFICA DEL FMI

Nei primi dieci posti, insieme alle tigri asiatiche (Taiwan, Corea del Sud, Singapore e Thailandia), vi sono soltanto due paesi dell’Ue: l’Olanda, al quarto posto con 84,8 miliardi di dollari di surplus (10,2% del pil olandese; 0,1% del pil mondiale), e l’Italia al nono posto con 53,4 miliardi di dollari di surplus (2,8% del pil italiano; 0,1% del pil mondiale).

CHE COSA HA SCRITTO DIE WELT

Nel dare conto di questo report, il giornale tedesco Die Welt ammette che «ora Donald Trump ha una munizione in più nella sua campagna contro la Germania. E il fatto che a metterla a sua disposizione sia un’autorità sovranazionale, per lui sempre sospetta, non manca di ironia».

IL CAMBIO FAVORISCE LA GERMANIA. PAROLA DI FMI

Secondo gli economisti del Fmi, l’enorme surplus tedesco dimostra che le esportazioni della Germania sono avvantaggiate non solo dalla qualità dei prodotti, ma anche, se non soprattutto, dal cambio monetario, in quanto la valuta tedesca è in buona sostanza un euro «sottovalutato fra il 10 e il 20%» Un vantaggio competitivo che, secondo il report Fmi, è dovuto principalmente alla politica di austerità praticata da Berlino sia a livello europeo, che nella stessa Germania, dove gli investimenti languono in molti settori.

GLI AUSPICI DEL FMI SULLA GERMANIA

«Se la Germania utilizzasse il suo margine fiscale e spendesse di più per gli investimenti, le dimensioni del problema si ridurrebbero. Il governo federale e le regioni potrebbero spendere circa un punto percentuale di pil in più ogni anno», dice il report Fmi. «Gli squilibri delle partite correnti non sono di per sé negativi. Ma diventano pericolosi quando non sono di natura temporanea o ciclica, bensì permanenti. In questo caso, se vi sono singoli paesi che generano grandi eccedenze, ci saranno altri paesi che automaticamente saranno costretti a fare dei deficit».

I LIVELLI EQUI DI SURPLUS

Il report del Fmi ha calcolato quali dovrebbero essere i livelli equi di surplus per assicurare l’equilibrio economico tra i vari paesi a livello mondiale. La Germania non dovrebbe superare un avanzo delle partite correnti superiore al 2,8% del pil globale. Vale a dire: un buon 5% del surplus commerciale tedesco, secondo il Fmi, contribuisce agli squilibri mondiali, non solo a quelli europei.

CHE COSA SUCCEDE IN EUROPA

Musica per le orecchie di Trump. Quanto all’Europa, sarà interessante vedere se, nei prossimi mesi, i leader dei Paesi Ue, compresa l’Italia, saranno capaci di fare proprie le tesi di questo report, per convincere la cancelliera Merkel ad accantonare la politica dell’austerità come dogma Ue, e aprire i cordoni della borsa per fare più investimenti almeno in patria.

PERCHE’ LA GERMANIA PUNTA SULLA CINA

Su quest’ultimo punto, giusto per alzare lo sguardo al di sopra del tardivo report del Fmi, va registrato un fatto nuovo, che dovrebbe indurre a maggiore cautela i tanti analisti che danno la Merkel per spacciata, dopo le pesanti accuse che le ha mosso Trump. Un paio di mesi fa la cancelliera si è recata in Cina e ha speso un’intera giornata per visitare a Shenzen quello che considerato il «tech hub» cinese, vale a dire il polo industriale dedicato allo studio e alla sperimentazione dell’intelligenza artificiale. Da ex studiosa di fisica, la cancelliera è rimasta impressionata da ciò che ha potuto vedere: un’enorme quantità di denaro e di uomini impegnati, per iniziativa del governo cinese, per fare diventare la Cina una superpotenza globale nel settore dell’intelligenza artificiale (Ai). Settore in cui la Germania, per sua stessa ammissione, non ha ancora elaborato nessun piano.

AVANTI TUTTA VERSO L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Per questo, rivela il sito Politico.eu, qualche settimana dopo il ritorno dalla Cina, la cancelliera, zitta zitta, ha riunito a porte chiuse i 32 maggiori esperti tedeschi di intelligenza artificiale per sapere che cosa stanno combinando con le loro aziende in Germania. Le hanno risposto che sono a buon punto nella ricerca teorica, ma piuttosto indietro nel trasformare le ricerche in applicazioni concrete, tali da reggere quella che si annuncia come la maggiore sfida tecnologica del futuro a livello mondiale. «Siamo sempre stati primi nell’innovazione tecnologica», ha detto la Merkel ai presenti. «In questo caso non lo siamo, e questo ci deve preoccupare». In buona sostanza, ha fatto capire che d’ora in poi la Germania potrebbe sì aumentare gli investimenti, ma non lo farà nelle infrastrutture tradizionali (ponti, autostrade, ferrovie, centrali elettriche ecologiche, o cose simili) come le suggeriscono i più, bensì nell’avanzamento delle tecnologie legate all’intelligenza artificiale, settore destinato a stabilire quale sarà, tra dieci o venti anni, la maggiore potenza mondiale.

LA VERA DIFFERENZA TRA ITALIA E GERMANIA

La differenza tra la Merkel e la classe politica italiana è tutta qui. La cancelliera sarà pure criticabile (e giustamente) per l’austerità. Ma poi bisogna stare ai fatti: mentre a Roma il governo riunisce 62 sigle per discutere se tenere o chiudere un impianto siderurgico, discetta sulla Tav con i no-global e alimenta le favole del reddito di cittadinanza e della flat tax, la Merkel è avanti non di un passo, bensì almeno di un decennio. E tra la politica del fare, e quella del dire, vince la prima. Sempre.

Articolo pubblicato su Italia Oggi

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