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Germania, chi nella Cdu apre a Giorgia Meloni

Jens Spahn, uno degli esponenti più autorevoli della Cdu tedesca, pensa che Giorgia Meloni sia l'ultimo muro prima delle destre estreme in Europa. Ecco cosa può significare la sua apertura in vista delle elezioni di giugno.

Il muro di difesa sul versante delle destre estreme passa in Europa al di là del partito di Giorgia Meloni. Sono le parole di uno degli esponenti più autorevoli della Cdu, Jens Spahn, ex ministro della Sanità del governo di Angela Merkel negli anni difficili dell’emergenza pandemica e conservatore illuminato nella geografia interna del partito. Dopo aver conteso più volte come outsider la presidenza del partito nelle varie elezioni che hanno segnato il dopo Merkel, Spahn si è ritagliato un ruolo di primo piano nel nuovo organigramma predisposto da Friedrich Merz. Ha dalla sua il tempo, essendo appena quarantaquattrenne, può dunque attendere che la sua figura di leader si consolidi ancora e che la rogna di ricostruire il partito dopo il lungo regno della cancelliera dei record se la sbrighi l’irrequieto Merz, che dopo aver conquistato finalmente la guida della Cdu si giocherà il prossimo anno l’ultima possibilità di diventare cancelliere.

Spahn, dunque, è uno che conta nel partito. Per cui il suo giudizio nei confronti di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni è una apertura di credito che i destinatari farebbero bene ad accogliere con molta attenzione. Le frasi rilanciate in un colloquio con il sito di informazione europeo Euractiv riaprono i giochi alla destra dei partiti centristi, sebbene Spahn fa capire chiaramente che non tutti i paletti sono destinati a cadere. I potenziali partner del Ppe devono essere filo-europei, pro Nato, a favore della difesa dello Stato di diritto e rendere esplicito il loro sostegno all’Ucraina. Fratelli d’Italia può entrare nella partita, “il firewall corre a destra del partito di Meloni al parlamento europeo”, spiega Spahn. Il caso di Fdi è differente rispetto a quelli dei partiti radunati nel raggruppamento Identità e democrazia, i sovranisti catalogati come estrema destra, e forse anche rispetto ad alcune forze che siedono nello stesso gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), di cui la stessa Meloni è presidente: i polacchi del Pis, gli spagnoli di Vox e anche partiti in odore di adesione, come il Fidez di Viktor Orban, lui stesso da poco fuoriuscito dal Ppe.

Meloni, in quanto presidente del Consiglio di un paese importante come l’Italia “sta già lavorando con 26 capi di governo dell’Unione europea (…), e non ho sentito nessuno – incluso il cancelliere Scholz – dire che non lavoreranno con lei”, ha aggiunto Spahn.

Fin qui le aperture, che andranno misurate sia sulla base dei voti e quindi degli equilibri che saranno necessari per confermare la presidente uscente Ursula von der Leyen, su cui la Cdu ancora punta, sia sulla base dei contenuti. Dal congresso del partito di Merz è emersa la speranza che il voto europeo possa confermare il consenso a una coalizione centrista, formata da Ppe, socialisti di S&D e liberali di Renew Europe, mentre è aperto il confronto interno su quale ulteriore sponda sondare qualora sia necessaria una maggioranza più allargata. C’è chi come Spahn (e la parte più conservatrice del partito) vorrebbe fare a meno dei verdi e della loro agenda climatica, giudicandone misure e tappe troppo ideologizzate e accelerate, e sarebbe ben disposto a guardare alle componenti più moderate dei conservatori. E chi come Daniel Caspary, che guida la delegazione europea della Cdu, invece non esclude affatto un accordo con i verdi: e lo stesso pensa la componente più liberal del partito.

Quello che sarà centrale per l’intera Cdu – da Spahn al presidente del Land Nordreno-Vestfalia Hendrik Wüst, esponente di spicco dell’area liberal, passando per Friedrich Merz – è un legame di ferro con Emmanuel Macron. L’asse franco-tedesco resta al centro della politica europea del partito cristiano-democratico, lo si rileva anche dalle critiche mosse dal congresso cdu al cancelliere Scholz per i rapporti al momento problematici fra Berlino e Parigi, specie quando si affronta il tema del futuro dell’Europa, e ogni alleanza a venire a Bruxelles (e Strasburgo) per la Cdu e quindi per il Ppe non potrà prescindere da questa stella polare.

Le carte verranno tuttavia mescolate solo a urne chiuse e voti contati. Per il momento Meloni pare più interessata a consolidare il consenso del suo partito in Italia e ad augurarsi che gli elettori premino anche i partiti alleati nell’Ecr. Nella speranza (forse velleitaria) che possa costruirsi in Europa una maggioranza sul modello italiano, con i conservatori in grado di attirare da un lato i centristi e dall’altro i partiti più pragmatici dell’universo sovranista: non Afd, ma forse Le Pen. È un’ipotesi che, anche se fosse aritmeticamente praticabile, è di fatto impossibile possa avere l’avallo della Cdu. Tanto più che, in seno al Ppe, già solo il freno dei polacchi di Donald Tusk cerso il Pis basterebbe a far naufragare il tentativo.

Tuttavia l’apertura di credito della Cdu a Meloni va registrata: anche se non porterà ad alleanze, è un passo non scontato.

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