L’Europa dovrà da oggi fare conto con un personaggio nuovo della scena politica tedesca: Friedrich Merz, l’eterno ribelle della Cdu che dopo il pur pallido successo elettorale si trova proiettato verso la cancelleria. In realtà, Merz non è affatto un politico nuovo. Quest’uomo alto e asciutto, con le mani che si intrecciano nervosamente quando parla da un podio, ha sempre avuto un rapporto complesso con il potere e l’establishment del suo partito. Cresciuto negli anni Novanta nella nidiata di Helmut Kohl, Merz ha coltivato uno spirito di ribellione che lo ha sempre reso una provocazione ambulante all’interno della Cdu.
Era uno degli enfant prodige che avrebbero dovuto contendersi la successione al grande leader, ma la sua carriera politica è stata segnata da una rivalità epica con Angela Merkel, un confronto che è andato oltre le normali dinamiche di partito. Dove Merkel era calcolo e pazienza, Merz è sempre stato passione e impetuosità. La sua caduta dalla leadership del gruppo parlamentare nel 2002, orchestrata dalla futura cancelliera, ha lasciato cicatrici che non si sono mai del tutto rimarginate: come hanno dimostrato le recenti stilettate pronunciate in piena campagna elettorale da Merkel per la liquidazione compiuta da Merz della sua politica migratoria.
Eppure, Merz non è solo l’anti-Merkel. È un conservatore con una visione chiara: liberale in economia, tradizionalista nelle questioni sociali, atlantista in politica estera. La sua capacità di mostrare emozioni genuine lo distingue dalla freddezza calcolata che ha dominato la politica tedesca negli ultimi decenni. Non è affatto il personaggio sbiadito che commentatori superficiali (soprattutto in Italia) gli hanno disegnato addosso. Anzi, è uno che polarizza.
Il suo percorso verso la leadership del partito è stato tortuoso. Dopo la rottura con Merkel, l’uscita dal partito, quindi anni trascorsi nel settore privato, dove ha accumulato ricchezza e influenza in dodici consigli di amministrazione. Quando la cancelliera ha imboccato la fase discendente della sua parabola, Merz è tornato alla politica con determinazione incrollabile. Ci sono voluti tre tentativi prima di conquistare la presidenza della Cdu, ma la sua perseveranza ha pagato, guadagnandogli il rispetto della base del partito.
Ora Merz si trova di fronte a un dilemma esistenziale. La sua disponibilità a cercare maggioranze parlamentari anche con i voti di AfD ha scatenato un terremoto politico. I suoi oppositori lo accusano di “aprire le porte dell’inferno”, mentre i suoi sostenitori vedono in lui l’uomo capace di riportare la Cdu alle sue radici conservatrici.
Con un piccolo ma fedele gruppo di alleati – da Carsten Linnemann a Jens Spahn – Merz ha costruito una squadra di conservatori che, come lui, hanno sempre mantenuto le distanze dall’era Merkel. La sua leadership emotiva e diretta rappresenta un netto contrasto con il pragmatismo freddo che ha caratterizzato la politica tedesca negli ultimi anni. Mentre le manifestazioni di protesta riempivano le piazze e i suoi oppositori lo paragonavano a figure controverse del passato tedesco, Merz è rimasto fedele al suo stile combattivo. Riuscirà ora il ribelle a trasformarsi nel leader di cui la Germania ha bisogno? La risposta a questa domanda potrebbe ridefinire non solo il futuro della Cdu, ma l’intero equilibrio politico europeo.