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Fatti e frottole su Matteo Salvini e Carola Rackete

Il corsivo di Paola Sacchi

Matteo Salvini, lasciato praticamente da solo, ha difeso il principio non negoziabile della sovranità nazionale. Non si tratta di essere leghisti o sovranisti o fan del ministro dell’Interno e vicepremier, detto dai suoi “il capitano”. Si tratta di ammettere oggettivamente come sono andate le cose sulla vicenda Sea Watch e la capitana della nave Carola Rackete. Forse Salvini avrebbe dovuto indossare giacca e cravatta, forse non avrebbe dovuto dare della “sbruffoncella” a Rackete e, invece, usare moniti più solenni, ma che proprio per questo sarebbero suonati ancora più fermi e autorevoli, privi dei fronzoli di certo linguaggio social, a difesa di quel sacrosanto principio che è il rispetto dei confini nazionali.

Ma Salvini è figlio della sua epoca, ha la sua personalità e non gli si può chiedere di essere come l’inimitabile e forse irripetibile statista Bettino Craxi che non si piegò a ben altro: agli Usa, a Ronald Reagan. Sono vicende diverse, personalità, epoche, contesti imparagonabili. Ma resta il fatto che Salvini è stato lasciato praticamente da solo a difesa di quel sacrosanto principio, come se fosse tutta una questione ridotta a un match tra “capitano” e “capitana”.

Eppure, la sovranità è il principio fondante di una Nazione, che in un Paese normale dovrebbe venire prima di tutto. Non è sovranismo. Ma regola basilare della convivenza internazionale. Altra cosa, seppur strettamente intrecciata in questa vicenda, è la politica dell’immigrazione, con le critiche che si possono fare a Salvini, ma sempre a fronte di una realtà riconosciuta anche da Angela Merkel: l’Italia per troppo tempo è stata lasciata da sola. E invece, mentre nelle acque di Lampedusa l’Italia dava al mondo l’immagine di un Paese dove chiunque una bella mattina, con uno stile che ha un po’ il sapore sessantottino di “Zabriskie Point”, può fare quello che gli pare, è scattata quella sorta di cupio dissolvi in cui sembra esser precipitato il Pd che ha iniziato di fatto a inneggiare alla violazione della nostra sovranità territoriale. Il tutto con l’evidente intento di attaccare Salvini, l’avversario politico. Praticamente silenti le cariche istituzionali.

Ora si dice che la questione sarà affrontata dalla magistratura. Giusto. Ovvio. Ma che fine ha fatto in Italia la politica, quella con la “p” maiuscola? Quella che di fronte a emergenze come questa dovrebbe fare fronte comune, studiare le forme delle risposte da dare anche in questo frangente al problema dell’immigrazione, che comunque resta, ma anche quella politica che dovrebbe veder unito un Paese nel non farsi mettere alla berlina da chiunque domani mattina prenda una nave o un aereo?

E invece sembra che prevalga da parte degli oppositori, più o meno dichiarati a Salvini, la voglia perenne di buttarla sulla delegittimazione dell’avversario politico, qualunque cosa accada, al di là dell’oggetto in questione. Avversario trattato, come avviene da parte di una certa sinistra ormai da 25 anni, dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi fondatore del centrodestra e del bipolarismo, da nemico, praticamente a prescindere. Però così, non solo una certa sinistra, che contemporaneamente ha ripreso ad attaccare anche il suo ex ministro dell’Interno Marco Minniti, per il freno all’immigrazione incontrollata, non crea una vera alternativa, ma apre al rischio di delegittimare non Salvini, bensì un intero Paese. E forse proprio perché si avverte certa debolezza della nostra politica, scarsa solidità e consapevolezza dell’orgoglio e dell’interesse nazionale, principio basilare che non è sovranismo, inteso come dottrina, si rischia che chiunque si senta autorizzato a “bucare” i nostri confini. E da domani mattina a cercare di ributtarla in caciara. In barba a uno Stato sovrano.

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