“Radiodays. La radio in Italia da Marconi al web” di Andrea Sangiovanni (il Mulino,224 pagine, 16 euro) arriva in libreria nel momento più appropriato. Il 13 febbraio viene celebrata la giornata mondiale della radio. Ma soprattutto si avvicina un’altra data da ricordare. Il 6 ottobre 2024 sarà il centenario della prima trasmissione radiofonica in Italia. Alle nove di sera, da uno studio allestito senza troppe pretese in un seminterrato di via Maria Cristina di Savoia nel quartiere Flaminio di Roma, Ines Viviani Donarelli annunciò un concerto di Haydn. E per attutire i rumori provenienti dall’esterno si misero coperte alle pareti e al soffitto. Non c’era ancora l’Eiar del regime fascista ma l’Unione Radiofonica Italiana, una sorta di consorzio creato associando tutte le società che avevano competenze nella nuova tecnologia.
Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile se parecchi anni prima, nell’autunno del 1895, un colpo di fucile sull’Appennino emiliano non avesse segnalato al ventunenne Guglielmo Marconi che la sua invenzione funzionava a meraviglia. Cominciava così la grande epopea della radio e Andrea Sangiovanni ne racconta tutta la storia fino ai nostri giorni. Basta confrontare le date per capire che gli inizi non furono né facili né rapidi. Come spesso accade agli italiani di talento, Marconi andò all’estero per perfezionare la sua invenzione. E dall’Inghilterra ottenne un successo mondiale con la prima trasmissione transoceanica. Alla fine, dopo anni di negligente trascuratezza, la radio arriva anche in Italia ed è il regime fascista a vedere nel nuovo mezzo un’opportunità per la sua propaganda. Ma la radio è stata sin dall’inizio e resta tuttora molto di più di uno strumento nelle mani del potere. Grazie ai suoi professionisti ha rinnovato l’informazione con i suoi radiogiornali che poi cambieranno nome in giornali radio. Ha raccontato lo sport attraverso magistrali cronache in diretta come quelle di Nicolò Carosio. Ed era come stare allo stadio pur restando a casa. Ha diffuso la cultura consentendo a tutti di ascoltare drammi e concerti. Ha per prima pensato a programmi di intrattenimento che inchiodavano intere famiglie a quella “scatola magica” sistemata al posto d’onore in salotto o, per comodità, in cucina. La radio ha inventato le sponsorizzazioni già negli anni Trenta con “I quattro moschettieri” abbinato a una raccolta di figurine. Attraverso il mezzo radiofonico passano i grandi eventi come quando nel 1943 Ugo Stille dirige da Palermo la prima emittente dell’Italia liberata.
Se non si è ancora capito, la radio ci piace. Più di ogni altra cosa, è uno strumento di innovazione e di progresso. E anche meno invasiva della televisione perché non ti impedisce di fare altre cose. Più che logico considerarla, come già affermato da David Sarnoff nel 1922, un servizio pubblico. Ma gli scenari cambiano e anche la radio deve adeguarsi. “Radiodays” di Andrea Sangiovanni ha il pregio di ricordare un passato glorioso ma non trascura il presente e affronta il nodo delle trasformazioni imposte dal rinnovamento tecnologico. Non tutto cambierà. Dal seminterrato del Flaminio fino all’era digitale resta la convinzione che la radio resterà “la voce amica” che è sempre stata.