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Bce

Perché i mercati emergenti sono più vulnerabili

L'articolo di Keith Wade, capo economista & strategist, Schroders

Dieci anni dopo il collasso di Lehman Brothers e l’aggravarsi della crisi finanziaria globale, il mondo sembra un posto più sicuro. Le banche sono più capitalizzate, la regolamentazione è più severa, la volatilità sui mercati finanziari è contenuta e le banche centrali hanno iniziato ad alzare i tassi d’interesse o a segnalare la fine delle politiche monetarie ultra accomodanti.

La crisi è passata e il mondo si sta normalizzando, ma cosa dire degli squilibri rappresentati dalla disruption? È ora di cruciale importanza individuare tali squilibri e capire dove si potrebbero trovare le prossime linee di frattura per l’economia globale. Il fatto che questa sia cambiata significativamente negli ultimi dieci anni e che oggi gli squilibri siano meno numerosi rappresenta sicuramente una notizia confortante. Tuttavia, esistono ambiti, tre in particolare, che potrebbero rappresentare potenziali fonti di tensione guardando al futuro:

1. I mercati emergenti sono più vulnerabili.

Tra le cause alla base della crisi di dieci anni fa, ci fu il gap tra le partite correnti dei mercati sviluppati (in deficit) e quelle dei mercati emergenti (in surplus) che venne a crearsi nella fase antecedente la crisi. Oggi invece sono alcuni mercati emergenti a essere in deficit, anche se non sui livelli toccati dai Paesi sviluppati prima della crisi finanziaria. Inoltre, tra di essi, molte economie continuano a mostrare un surplus.

Detto questo, rispetto al passato gli emergenti sono più dipendenti dal capitale esterno, come dimostrato recentemente dalla pressione scatenata dall’aumento dei tassi da parte della Federal Reserve e dalla riduzione della liquidità sulle valute emergenti e sulle riserve valutarie. Guidati dalla Cina, altri mercati emergenti potrebbero entrare in deficit. Inoltre, il surplus visibile è sotto pressione a causa della guerra commerciale, dato che gli Stati Uniti stanno chiedendo una riduzione di 200 miliardi di dollari del deficit bilaterale. In secondo luogo, il deficit invisibile dovrebbe continuare a crescere via via che sempre più cinesi viaggiano all’estero. Anche questo tuttavia dipenderà dagli sviluppi negli Stati Uniti.

2. Il deficit delle partite correnti negli Stati Uniti persiste.

Il deficit delle partite correnti negli Stati Uniti è molto diminuito nel corso degli ultimi dieci anni. Tuttavia, è probabile che l’espansione della politica fiscale sotto l’amministrazione Trump e il conseguente aumento del deficit di bilancio porteranno a un ulteriore aumento del deficit delle partite correnti. Assisteremo probabilmente al ritorno dei deficit gemelli degli Stati Uniti. Di conseguenza, potremmo vedere i mercati emergenti evitare la caduta nel deficit e tornare, anche se temporaneamente, al surplus.

Con l’economia statunitense solida e i tassi d’interesse in aumento prima che in tutto il resto del mondo, il finanziamento del deficit delle partite correnti non è stato troppo problematico, come evidenziato anche dalla forza del dollaro. Tuttavia, con la politica monetaria in normalizzazione anche altrove, gli asset statunitensi sembreranno sempre meno attraenti e il finanziamento non si baserà su termini così favorevoli. Ciò potrebbe portare in conclusione a un taglio della politica fiscale e a una crescita minore negli Stati Uniti.

3. Verso un inevitabile apprezzamento dell’euro?

Al momento sembra che il principale squilibrio esistente sia tra l’area euro e il resto del mondo. Per diversi aspetti l’Eurozona sta recitando la parte della Cina e delle economie emergenti nel periodo precedente alla crisi globale. Oggi, lo squilibrio è sostenuto dalla Bce e dalle sue politiche ultra accomodanti che stanno portando gli investitori fuori dall’euro verso altre valute alla ricerca di rendimenti. Di conseguenza, l’euro è rimasto debole e le politiche di stimolo della Bce sembrano avere la loro controparte nell’accumulazione di riserve valutarie della Cina di dieci anni fa. La debolezza dell’euro è stato uno strumento importante per combattere la deflazione nella regione. Tuttavia, c’è chi ha detto che tentare di sostenere la valuta con un surplus delle partite correnti in calo sia una fatica di Sisifo.

Le pressioni per l’apprezzamento dell’euro continuano a persistere (visto l’eccesso di domanda di euro sui mercati dei beni e dei servizi) e anche se la Bce ha avuto successo nel riuscire a evitare un brusco apprezzamento, alla fine lascerà cadere il fardello. Uno sviluppo del genere porrebbe una sfida significativa per l’Eurozona, che sta faticando a generare un’inflazione sostenibile al 2% e che deve affrontare problematiche considerevoli legate alla crescita e al debito nei Paesi periferici.

Gli squilibri sono diminuiti, ma stanno emergendo nuove linee di frattura. Sulla base di questa analisi e guardando alle linee di frattura che potrebbero innescare la prossima crisi, potrebbe valere la pena focalizzarsi sull’Eurozona, che al momento presenta una combinazione tra un surplus delle partite correnti e una valuta debole solo grazie a una politica monetaria straordinariamente accomodante.

In un mondo perfetto, la ripresa dell’Eurozona sarebbe accompagnata da tassi di interesse più elevati e da una valuta stabile. Nella pratica, ciò potrebbe dimostrarsi una sfida complessa. La Bce sta infatti cercando di lasciare la presa senza un apprezzamento significativo dell’euro e il rischio è di far deragliare l’attività nella regione. Come avvenuto in Giappone (un’altra economia con un surplus delle partite correnti che fatica a creare inflazione), l’Eurozona corre poi il rischio di trovarsi bloccata con una politica monetaria molto accomodante per un periodo indefinito.

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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