Quando gli hanno chiesto quanto fosse andato bene da 1 a 10 il suo incontro con Xi Jinping, da consumato venditore anche di fumo Donald Trump ha subito risposto: direi 12.
Ma già la durata di poco più di un’ora e mezzo (solo un terzo del tempo previsto) del primo faccia a faccia dopo sei anni tra i presidenti degli Stati Uniti e della Cina, cioè dei due Paesi più potenti al mondo, rivela che quel 12 in pagella è forse il doppio del voto meritevole e appena sufficiente, da 6, con cui giudicarlo, l’incontro.
Certo, non sono mancati sorrisi e strette di mano a Busan in Corea del Sud, dove il colloquio di ieri s’è svolto. Ma, con il solito tappeto rosso stavolta ai piedi del leader cinese, la realistica impressione che si può ricavare sulla base dei pochi e non definitivi risultati ottenuti e dei temi ostici neppure sfiorati, è che Trump abbia ripetuto la scena e l’esito del vertice già visto con Putin in Alaska: alla fine della fiera a guadagnarci è stato più Xi Jinping – come lo era stato Putin – che non l’inquilino della Casa Bianca. Se non altro per il riconoscimento del leader cinese quale interlocutore principale, oggi, dopo essere stato più volte additato da Trump come principale nemico o antagonista da sfidare in ogni settore.
Trump non porta a casa alcuna svolta nei rapporti col suo sfidante, né al mondo l’unica notizia che, specie in Occidente, il mondo attendeva: l’impegno dell’interlocutore cinese a riportare lo Zar, cioè l’alleato costretto a legarsi mani, piedi ed economia a Pechino, a miti consigli sulla guerra in Ucraina. Figurarsi poi se il presidente statunitense è riuscito a strappare qualche vaga, seppur vana, promessa sul non minacciare d’invasione un giorno sì e l’altro pure Taiwan, che la Cina considera cosa sua e guai a chi interferisce.
Dunque, niente sul piano internazionale più incandescente e nel quale il ruolo di Xi Jinping sarebbe decisivo. Ma neppure sul terreno del commercio tra Washington e Pechino, quello a cui Trump più teneva, avendo a sua volta minacciato dazi pesanti, alzandoli e abbassandoli di continuo – ricambiato -, si è raggiunto un accordo forte e duraturo.
Tant’è che si parla di tregua commerciale di un anno: basta blocchi nelle esportazioni per ripicca, dazi abbassati per tutti senza ritorsioni e annuncio di visite il prossimo anno sia per Trump in Cina che per Xi Jinping in America. A conferma che le intese sono ancora lontane e avranno bisogno di tempo per maturare.
“Xi è un negoziatore tosto”, ha detto Donald di nuovo nei panni dell’esperto venditore. “Dobbiamo essere amici, ma abbiamo anche attriti”, il franco commento del leader cinese.
E così, ma lo si ripete da tempo, toccherebbe all’Europa entrare da terzo incomodo in una trattativa commerciale e diplomatica con la Cina che non può essere lasciata alla sola America. L’Ue e Pechino rappresentano insieme quasi il 30% degli scambi di servizi e beni nel mondo e più di un terzo del Pil. E poi l’Ucraina: Xi Jinping può incidere.
Ma per ottenerlo, bisogna fare politica e non solo srotolare tappeti rossi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
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