Presi singolarmente nei giorni dispari, essendo nei giorni pari Trumputin, il presidente americano e quello russo sembrano due potenti megalomani imbottiti di armi e di ambizioni, smaniosi l’uno di liberarsi di quei rompiscatole e parassiti che saremmo noi europei e l’altro di quei rompiscatole, pure loro, dei cinesi. Con i quali però Putin è obbligato a fingersi un compagnuccio, diciamo così, correndo alle loro manifestazioni e anniversari, diversamente da Trump che ci strapazza di insulti telefonici e, più in generale, mediatici. Qualche ospite europeo varca ogni tanto la soglia della Casa Bianca senza la sicurezza di uscirne indenne.
In realtà, i due sono pericolosamente prigionieri. Uno, Trump, dei suoi errori, l’altro del suo passato.
Il principale errore di Trump è stato quello di concedere a Putin un vantaggio mediatico e diplomatico con quell’incontro ferragostano in Alaska dal quale il presidente russo si sentì incoraggiato non a ridurre ma a intensificare gli attacchi all’Ucraina. In una guerra che lo stesso Putin aveva cominciato tre anni prima con l’obiettivo non mancato ma fallito di concluderla in una quindicina di giorni, alla maniera di Hitler ai suoi tempi, pur considerando il paese di Zelensky da “denazificare”, addirittura.
Il passato di cui è prigioniero Putin è quello naturalmente sovietico: aggettivo, questo, che non a caso ricorre sempre più di frequente nelle cronache politiche quando raccontano della Russia di oggi, dei suoi eserciti e delle sue carceri, dove i dissidenti entrano per uscirne solitamente morti.
Una tregua all’Ucraina insanguinata e infreddolita è stata appena rifiutata pubblicamente dal Cremlino anche come natalizia. Una ferocia anch’essa sovietica. Che spero non apprezzata alla Casa Bianca almeno dalla moglie di Trump: Melania, come la più celebre dello storico film Via col vento.




