Diavolessa di una segretaria del Pd, Elly Schlein chiude l’estate con un po’ di anticipo lasciando il partito in braghe di tela – temo – su un versante assai delicato com’è quello religioso. Delicato sia per la parte proveniente da un partito che si chiamava ed era addirittura Democrazia Cristiana, sia per la parte che, pur chiamandosi Partito Comunista”, era attentissimo ai rapporti con la Chiesa. La buonanima di Palmiro Togliatti fece andare di traverso a Pietro Nenni il voto per la costituzionalizzazione dei patti lateranensi di eredità mussolinana. E il Pci si schierò poi a favore del divorzio, in Parlamento e nello scontro referendario che ne seguì, con una certa fatica su cui scherzava con feroce ironia quell’altro diavolo di Marco Pannella.
La Schlein, dicevo, ha la possibilità non comune – se la sogna anche il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani con il suo radicamento ciociaro – di scegliere ogni giorno, ogni ora, ogni minuto quale passaporto esibire fra i tre che possiede: americano, italiano e svizzero in ordine quanto meno alfabetico. Può indossare le sue camicette con la consulenza di una specialista d’armocromia di cui le cronache politiche avevano ignorato l’esistenza prima di lei, arrivata al Nazareno vantandosi di avere sorpreso tutti, forse anche se stessa. Ha distribuito, sempre la Schlein, incarichi di ogni tipo, di direzione, di segreteria e chissà cos’altro, per avere rapporti con tutti e con tutto, ma si è dimenticata di istituirne o darne uno per i rapporti in senso lato con la Chiesa. Cui invece i grandi e anche piccoli partiti della lontana prima Repubblica provvedevano con cura.
Questa incresciosa circostanza è stata rimproverata alla Schlein non da un’avversaria ma da un’amica e collega di partito: una cattolica orgogliosamente “adulta” come l’ex presidente del Pd, ex ministra della Sanità di Romano Prodi ed ex vice presidente della Camera Rosy Bindi. Che, per quanto orgogliosa pure di non essere fra i politici preferiti dagli eterni ragazzi e giovani di Comunione e Liberazione, non è riuscita a ingoiare silenziosamente le cronache e le immagini della premier Giorgia Meloni accolta coma una regina al loro raduno annuale a Rimini. Uno spettacolo preceduto da un’udienza dal Papa in Vaticano e seguito, come un filotto al biliardo, da un’udienza pontifica al vice presidente forzista del Consiglio, il già citato Tajani, e da una all’altro vice presidente del Consiglio, leghista, Matteo Salvini. Una specie di centrodestra di casa oltre le Mura, dove invece brilla di assenza, di imbarazzo e di quant’altro la sinistra candidatasi all’alternativa.
Già scomode di loro le polemiche e le distinzioni al Nazareno e dintorni fra i vari gradi o le varie tendenze del cosiddetto riformismo, che nel Pci era addirittura una parolaccia, quelle sui rapporti con la Chiesa, e sulle tonalità o gradualità cattoliche della militanza e dirigenza nel Pd sono scomodissime. Se è insorta, a suo modo, fra un’intervista alla Stampa e una lettera ad Avvenire la cattolica “adulta”- ripeto – Rosy Bindi, ancora di più si è fatto sentire, parlandone al Corriere della Sera, un cattolico più tradizionale, diciamo così, come l‘ex ministro ed ex capogruppo Graziano Delrio.