Indipendentemente da chi la conquisterà il 5 novembre, la prossima Casa Bianca sarà occupata da un leader che difenderà anzitutto l’economia e i lavoratori americani all’insegna dell’America first. È la convinzione che esprime in questa intervista a Start Magazine un esperto come Gianluca Pastori, docente di Storia delle Relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa alla Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano e Senior Associate Fellow, Area ‘Relazioni transatlantiche’ presso l’Ispi
Che giudizio ci offre della candidatura di Kamala Harris? Come la inquadriamo?
Ciò che definisce Harris è l’essere innanzitutto la vicepresidente dell’amministrazione Biden. Una sua elezione dunque comporterebbe inevitabilmente una certa continuità.
Quali sarebbero i principali elementi di continuità?
Li vedo soprattutto in politica estera, ossia nell’enfasi sul multilateralismo e sui rapporti con gli alleati europei e soprattutto asiatici. Una continuità caratterizzerà anche l’approccio nei confronti degli avversari, ossia principalmente Russia e Cina, anche se nei confronti della prima è prevedibile uno sforzo verso la ricomposizione della questione ucraina.
E verso la Cina?
Nei confronti della Cina vedo invece una prosecuzione del dialogo critico avviato dall’amministrazione Biden, ossia si continuerà a parlare su una serie di temi di rilevanza globale ma mantenendo posizioni molto critiche sul fronte, ad esempio, dei diritti umani.
E un elemento di discontinuità che potrebbe emergere?
Lo vedo soprattutto sulla questione medioorientale, che trova l’amministrazione Biden in forte difficoltà. Naturalmente è escluso che il Partito democratico possa ripudiare lo storico sostegno degli Usa verso Israele e virare nettamente verso posizioni filopalestinesi, ma reputo probabile che nei confronti di Tel Aviv Harris tenderà ad assumere posizioni più critiche.
E sul fronte dell’economia, ci sarà continuità anche qui?
Se guardiamo a ciò che ha fatto l’amministrazione Biden in questi quattro anni, noi abbiamo visto da un lato un approccio multilaterale che tiene conto anche degli interessi degli alleati, e dall’altro l’adozione di provvedimenti come l’Inflation Reduction Act che hanno un impianto unilaterale e sono concepiti esclusivamente nell’interesse degli Usa anche a scapito degli alleati. Io credo quindi che l’elemento di continuità sotto questo profilo non riguarderebbe solo un’eventuale amministrazione Harris ma anche un ipotetico Trump 2, perché il ritorno alla crescita e la difesa dei posti di lavoro sono ormai temi trasversali.
È America first dunque anche per Kamala?
Direi di sì. in questo momento sia i democratici che i repubblicani sono allineati sulla necessità di rendere più sicuri l’economia e il lavoro americani. Poi certo ci sono differenze di stile e di tono, ma la sostanza resta la stessa.
Passiamo all’altro candidato. Cosa ci dobbiamo attendere da una sua eventuale vittoria?
In questo caso è più facile esprimersi, perché partiamo dal dato dei quattro anni della sua prima presidenza. Con Trump dobbiamo attenderci un’America più protezionista e forse più isolazionista, ma soprattutto impegnata a concentrare le sue risorse su quelli che vengono considerati i teatri critici, a partire dall’Indopacifico. Di nuovo sicuramente la competizione con la Cina sarà in primo piano, e ci sarà una delega crescente agli alleati sulla gestione di fronti lontani.
Trump incontrerà Putin?
Io credo che non avrebbe problemi a farlo. Del resto sono passati alla storia nel suo primo mandato gli incontri con il dittatore nordcoreano Kim. Molto tuttavia dipenderà anche dagli equilibri che si verranno a determinare nel Congresso che sarà parzialmente rinnovato con il voto del 5 novembre. Se Trump si sentisse sufficientemente forte, potrebbe tentare quella strada.
E sul fronte economico? Trump ha promesso dazi su tutte le merci importate dall’estero. Lo farà?
Io credo proprio di sì e a dircelo sono di nuovo i quattro anni del suo precedente mandato, quando si vide come a Trump piacesse davvero molto negoziare i dazi con i Paesi stranieri. E Trump come negoziatore è uno a cui piace partire da posizioni di forza. La logica è un po’ quella dello sferrare un colpo per poi mettersi a parlare, ed è l’essenza del trumpismo.
Che ruolo si immagina per Elon Musk al fianco di Trump?
Difficile dirlo perché il personaggio è imprevedibile non meno di Trump. Io suppongo in realtà che, più che un ruolo istituzionale, Musk vorrà piuttosto svolgere un ruolo di consigliere dietro le quinte.