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Governo Meloni

Ecco quali saranno le vere sfide (non solo economiche) del governo Meloni

Le dichiarazioni preoccupate di Von der Leyen e Biden sul prossimo governo Meloni sono comprensibili soltanto alla luce di un fastidio per un rafforzamento strategico della nostra nazione nel mondo. L’analisi del professore Benedetto Ippolito, storico della filosofia

 

La situazione politica italiana, dopo le elezioni del 25 settembre, vive una fase di attesa trepidante per la formazione del nuovo Governo che entrerà a pieno regime tra circa un mese. Molti osservatori nazionali ed internazionali hanno manifestato dubbi, inquietudini e preoccupazioni. Si tratta di sentimenti non solo legittimi ma comprensibili, sebbene non siano ad oggi assolutamente giustificati oggettivamente.

Non sappiamo ancora che tipo di impostazione organizzativa verrà data da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, né vi sono fatti che possano far dubitare in alcun modo della tenuta democratica del sistema repubblicano.

È avvenuto qualcosa di più semplice e più importante. Il popolo italiano ha scelto in modo discontinuo rispetto al passato e ha voluto puntare, nella collaudata coalizione di centrodestra, sulla forza politica e sulla guida ritenuta evidentemente più affidabile. Dunque, non si tratta di una rivoluzione ma semmai di una preferenza popolare netta, la quale appare giustificata oltretutto, almeno a chi osservi le cose con imparzialità, a causa dell’offerta frammentata e poco convincente dei concorrenti.

Oggi la domanda vera è cosa dobbiamo aspettarci da questo quinquennio che si è aperto. Le grandi incertezze economiche ed internazionali, con tanto di perdurante guerra russo-ucraina, di recessione globale per inflazione e scarsità negli approvvigionamenti energetici, ci trova in grande difficoltà, sfidando complessivamente la tenuta del nostro sistema economico e sociale, già cronicamente fragile e disgregato.

È chiaro, quindi, che molte decisioni governative saranno ineluttabili, molte opzioni obbligate, a cominciare dalla collaborazione con l’Unione Europea e con l’Alleanza Atlantica. In questo senso le dichiarazioni preoccupate di Von der Leyen, prima, e di Biden, dopo, non appaiono molto acute e lungimiranti, essendo comprensibili soltanto alla luce di un fastidio personale e ambientale per un eventuale rafforzamento strategico della nostra nazione nel mondo.

Insomma, è meglio per loro avere un alleato debole, manipolabile, sfruttabile, piuttosto che un Paese alleato forte e collaborativo: una posizione, questa del notabilato internazionale, che è perdente, tutto sommato, perché giustificata unicamente da motivi ideologici ed egoistici, non eretti sullo stato reale di cose esistenti.

Cosa dobbiamo attenderci veramente, quindi, dal futuro governo Meloni sul piano politico?

Sicuramente, in mezzo a contingenze imprevedibili, vi sono due punti precisi che sono solidi dal punto di vista programmatico: agire sempre nell’interesse nazionale e lavorare rapidamente alle riforme istituzionali.

Per quanto riguarda il primo punto, quello più determinato culturalmente, è logico che una politica di destra patriottica si muoverà nella direzione di una serie di iniziative volte a garantire sul piano sociale la difesa dei ceti più fragili e la valorizzazione complessiva nel sistema economico della quasi defunta classe media, con interventi a favore di produttività, lavoro e sviluppo. Dunque, non una ricetta fissa, sterile, assistenziale e parassitaria di finto progressismo, magari supportato dalla solita retorica favorevole solo a diritti secondari, ma un’azione generale, essenziale, che guardi all’intero complesso articolato della nostra comunità e si indirizzi alacremente per tutelare il valore del tutto nazionale a scapito di privilegi parziali di categorie o di settori specifici troppo difesi in modo corporativo.

D’altronde, fare l’interesse nazionale, agire per il bene di tutta la società, è prerogativa programmatica e culturale da sempre della destra, nonché fine ultime di ogni buon governo. In aggiunta, il fatto che nello specifico a guidare questa coalizione, cominciando dal livello parlamentare, sia Fratelli d’Italia aggiunge due garanzie potenziali in più rispetto ai precedenti primati di Lega e Forza Italia: vale a dire, offre una maggiore garanzia per le necessità collettive rispetto a singole esigenze partitiche, sia locali e sia personali, che possono sempre emergere e minare il raggiungimento degli obiettivi. Meglio, insomma, avere a governare chi è meno esperto ma meglio collocato, rispetto a chi è più esperto ma anche troppo legato a interessi che, alla lunga, sono destinati ad entrare in contraddizione con le buone intenzioni iniziali, facendo franare la compattezza dell’alleanza.

In secondo luogo, vi sono le citate riforme istituzionali. Queste ultime sono ritenute necessarie da tutti e da lungo tempo. Ciò nondimeno, nessuno dei precedenti, a cominciare da Craxi negli anni ‘80, per passare alla Bicamerale di Berlusconi e D’Alema nei ‘90 e per finire ai due referendum bocciati del 2006 e del 2016, è risuscito a portarle risolutamente a termine.

Riformare le istituzioni vuol dire non solo modificare la Costituzione, ma mutare il sistema Stato, con le sue burocratiche e cavillose tenebrosità, ingiustizie e lentezze, facendo diventare il castello legale un po’ meno inaccessibile, più razionale e adeguato ai tempi e ai modi veloci e repentini che oggi i problemi e le esigenze dei cittadini impongono all’amministrazione pubblica. Cambiare alcuni aspetti strutturali dello Stato vuol dire far diventare la nostra Repubblica più democratica ed efficiente, meno artificiosa e cavillosa. Non si tratta soltanto, per tal fine, di porre seriamente in atto l’elezione diretta del capo dello Stato, ma anche di mutare in modo efficace ed efficiente il nostro sistema fiscale e giudiziario, nonché l’equilibrio regionale e locale, che tanti problemi ha dato e dà al funzionamento della macchina pubblica a livello centrale.

Interesse nazionale e riforma dello Stato, dunque, sono gli obiettivi di Legislatura che il popolo italiano si aspetta di veder realizzati dal nuovo Governo dei conservatori.

A ciò si unisca, non da ultimo, un desiderio collettivo di discontinuità culturale, che si presenta come tratto sicuramente non secondario dei consensi mietuti da Fratelli d’Italia. Non è possibile tollerare come inamovibili delle élite intellettuali dogmatiche che hanno assunto un potere assoluto di egemonia post-marxista e libertaria su alcuni temi chiavi e centrali nella vita delle persone, come sono, ad esempio, il valore dell’esistenza umana, la difesa e promozione della famiglia naturale e del consequenziale incremento demografico, la tradizione spirituale e religiosa comunitaria. Non è possibile che in Italia abbia legittimità civile da decenni solo un’ideologia progressista, materialista e falsamente multiculturale, molto discutibile e fallimentare per i suoi risvolti relativisti, senza che alla fine vi sia nella maggioranza dei cittadini una reazione conservatrice sana, necessaria, opposta e contraria. Da questo lato culturale la battaglia sarà cruciale e dura. Perciò è molto importante che la destra non faccia errori, non cada in ingenuità, e sia all’altezza delle proprie idee e della filosofia opposta che si vuol combattere.

In sostanza, l’Italia oggi vuole veder realizzato un adeguamento della politica nel suo insieme all’essenza culturale, economica e ideale specifica del popolo italiano e della sua mentalità comune. Per questo, la misura del successo o meno del futuro Governo a guida Meloni sarà valutata non da questo o quel ministro più o meno simpatico, non da questo o quell’errore o successo, ma dalla capacità di assicurare, in un mare in tempesta dove stiamo navigando a vista, un’alternativa ferma al disfacimento culturale dell’Europa e dell’Italia, con una gestione dell’interesse nazionale che sia in modo intransigente ispirata alla volontà di dare allo Stato la visione umana adeguata che deve avere, le riforme opportune necessarie, che servano concretamente a rendere la nostra democrazia veramente integrale e l’Italia spiritualmente e materialmente più forte.

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