Quello delle elezioni è per la Libia un nodo cruciale. Nonostante l’intesa raggiunta dal Comitato 6+6 durante i colloqui in Marocco, sono ancora numerosi i partiti e gli esponenti politici che, timorosi di essere scalzati dal potere da un regolare processo elettorale, si pongono di traverso.
L’INTESA DI BOUZNIKA: VERSO NUOVE ELEZIONI?
Il destino delle elezioni in Libia rimane incerto dopo che alcuni partiti ed esponenti politici, sia della Tripolitania che della Cirenaica, hanno rigettato l’accordo del cosiddetto Comitato 6+6 (formato da sei membri della Camera dei rappresentanti, e sei dell’Alto consiglio di Stato) creato per preparare il Paese a nuove elezioni attraverso la scrittura di una nuova legge elettorale per l’elezione del presidente e del nuovo Parlamento.
Dopo questo stallo, molti commentatori e analisti politici escludono ormai che le elezioni si possano tenere entro questo anno e ritengono che la fine dell’attuale crisi giungerà solo dopo la convocazione di un referendum su una nuova costituzione propedeutico a una futura tornata elettorale
Durante gli incontri a Bouznika in Marocco, il Comitato 6+6 aveva annunciato di aver trovato un’intesa al suo interno sul varo di nuove leggi elettorali. Queste nuove leggi erano state definite dal Comitato “definitive ed efficaci e le prossime elezioni si terranno attraverso di esse”. Quattordici partiti politici libici dell’est e dell’ovest del paese hanno accolto con favore questo risultato, al contrario di 54 membri del Consiglio di Stato e altri 61 della Camera dei rappresentanti che hanno annunciato in dichiarazioni separate il loro rifiuto.
Nonostante questi disaccordi, l’inviato delle Nazioni Unite, Abdoulaye Bathily, in un messaggio diffuso in occasione della Festa del Sacrificio dello scorso 28 giugno ha dichiarato che la Libia è in una fase decisiva nel cammino verso le elezioni e le conclusioni del Comitato 6+6 sono un’opportunità che non dovrebbe essere persa. Bathily ha quindi invitato i leader libici a dar prova di spirito di consenso.
GLI OSTACOLI SUL CAMMINO
Intervistato da Start Magazine, il giurista e ricercatore libico Ramadan Al-Tuwaijer ha dichiarato di “non immaginare che le elezioni libiche si possano tenere quest’anno a causa di molti ostacoli”. Troppo profonde secondo Al-Tuwaijer sono le divisioni tra le istituzioni statali, sia civili che militari, lo stesso fattore che ha finora impedito, nonostante lunghi anni di negoziati, di svolgere regolari elezioni.
Secondo lo stesso Al-Tuwaijer non giovano le numerose interferenze di Paesi stranieri, che ritengono necessario, al fine di tutelare i loro interessi strategici in Libia, preservare i rapporti con i partiti libici che oggi controllano la scena. A detta del ricercatore, dunque, questi Paesi remano contro quello stesso processo elettorale che secondo l’Onu rappresenta l’unica chance per mantenere unita la Libia.
In questo scenario, l’Italia dovrebbe esercitare maggiori pressioni sui Paesi che ostacolano la riunificazione libica affinché limitino le loro interferenze e soprattutto facciano rimpatriare i numerosi mercenari stranieri affluiti in Libia negli anni passati.
LA RIVALITÀ TRA SALEH E AL-MASHRI
A influire negativamente sui lavori del Comitato 6+6 sono state le vecchie e nuove divergenze tra il presidente del Parlamento libico, Aguila Saleh, e il capo dell’Alto Consiglio di Stato libico, Khaled al-Mashri. Come ha affermato a Start Magazine il ricercatore libico Ahmed Orabi, gli attriti tra i due antichi rivali hanno intaccato il consenso raggiunto dal Comitato a Bouznika, tra accuse reciproche di ostacolare qualsiasi percorso che possa porre fine alla fase transitoria e dunque eleggere nuovi organi.
Secondo Orabi la continua disputa tra Saleh e al-Mashri, che persiste nonostante i frequenti incontri della coppia nelle capitali arabe, ha l’unico obiettivo di perpetuare il loro potere rimandando quelle elezioni che ne potrebbero segnare l’uscita dalla scena pubblica.
Anche Orabi è convinto che la fine dell’attuale crisi avverrà solo attraverso l’elezione di una nuova assemblea legislativa incaricata di redigere una nuovo Costituzione e sottoporla tramite referendum alle decisioni dell’elettorato in vista di una successiva convocazione di nuove elezioni politiche e presidenziali.