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Le sberle di Annegret Kremp-Karrenbauer a Macron

L'approfondimento Tino Oldani, firma di Italia Oggi

 

Ci sono almeno due punti nella ampia risposta di Annegret Kremp-Karrenbauer al manifesto di Emmanuel Macron sul «Rinascimento d’Europa» da tenere a mente: due punti che rendono la signora AKK (così i media riassumono il nome della nuova leader della Cdu tedesca) più incisiva del presidente francese su temi popolari. Il primo: «Dobbiamo mettere in pratica i nostri sforzi comuni per porre fine alla distorsione della concorrenza in Europa attraverso l’elusione fiscale. Per fare questo, abbiamo bisogno di chiudere le scappatoie fiscali in Europa e introdurre una tassazione digitale modellata sul modello dell’Ocse». Ovvero: basta con i paradisi fiscali di Olanda, Irlanda, Lussemburgo e Cipro, che consentono alle multinazionali del web e alle mafie criminali di non pagare le tasse.

Dunque, un tema concreto, fondamentale quando si parla di concorrenza tra Stati, sul quale il manifesto di Macron non aveva speso neppure una parola. Eppure basta ricordare che la sola Olanda, assicurando un rifugio fiscale a 195 miliardi di dollari di profitti l’anno delle multinazionali, riesce a sottrarre agli altri paesi Ue 50 miliardi di dollari imponibile fiscale ogni anno.

Il secondo punto: «Dovremmo prendere decisioni a lungo attese e abolire gli anacronismi. Questi includono la concentrazione del Parlamento europeo su Bruxelles, e la tassazione del reddito dei funzionari Ue». In altre parole: chiusura della seconda sede del Parlamento Ue di Strasburgo, una sede costosa quanto inutile, voluta soltanto dalla Francia per ragioni di prestigio nazionale. E basta con i privilegi fiscali concessi agli strapagati euro-burocrati di Bruxelles.

Certo, nella risposta della signora AKK ci sono molti altri punti sui quali gli analisti si soffermeranno per cogliere la sua differente visione dell’Europa del futuro rispetto a Macron, soprattutto nella duplice chiave politica «no al centralismo europeo» (caro a Macron), e «sì alla difesa dei punti di vista nazionali», con cui la signora AKK, non senza alcune contraddizioni macroscopiche, mira a tagliare l’erba sotto ai piedi dei sovranisti. Scrive l’erede di Angela Merkel: «Centralismo europeo, statalismo europeo, comunitarizzazione dei debiti, europeizzazione dei sistemi sociali e del salario minimo costituirebbero una strada sbagliata». Quella giusta? «Puntare in maniera coerente a un sistema di sussidiarietà, auto-responsabilizzazione e responsabilità civile a questa connessa». Ovvero: meno Stato e più privato.

Un indirizzo bello in teoria, ma sempre più smentito dai fatti, visto che in molti Paesi Ue si assiste a un ritorno in grande stile dello Stato imprenditore: vale non solo per la Francia, statalista da sempre, ma anche per l’Olanda (caso Klm-Air France), per il nostro paese (vedi il Tesoro che entra in Alitalia) e per la stessa Germania, dove il ministro dell’Industria, Peter Altmaier, ha appena lanciato un «Piano industriale 2030» che fa perno proprio su un ruolo più forte dello Stato, senza dimenticare che il governo Merkel pensa di salvare Deutsche Bank pilotandone la fusione con Commerzbank. E qui, della sussidiarietà cara alla signora AKK, se ne vede ben poca.

Insieme a tanti «no», AKK dice anche alcuni «sì» alle proposte di Macron: sulla riforma di Schengen e di alcuni trattati, sulla riforma della politica per i migranti e per la tutela delle frontiere Ue (sia pure in modo generico), sulla green economy e sul clima, sulla difesa militare comune, compresa la costruzione di un aereo da combattimento Ue e una porta-aerei europea, più altre riforme centrate sulla politica estera europea, da rendere più autorevole con un seggio Ue nel Consiglio di sicurezza Onu. Il che tira una riga anche sul recente trattato di Aquisgrana, in cui la Francia si impegnava a condividere il proprio seggio Onu non con la Ue, bensì con la Germania: nero su bianco, in un trattato ufficiale, che è cosa diversa da un manifesto elettorale. Ma così vanno oggi le cose in Europa.

Per questo non stupisce che, alla fine, «per non farci fermare, scoraggiandoci, dalla costante, ansiosa domanda sui populisti», la signora AKK assesti a Macron una sberla che nessun populista aveva finora osato sferrare: chiudere la seconda sede del Parlamento europeo di Strasburgo, voluto e difeso dalla Francia per ragioni di prestigio, ma diventata con il tempo una fonte di sprechi a dir poco scandalosi. L’idea della chiusura non è nuova. Il primo dossier che ne raccontava minuziosamente gli sperperi è stato stilato dai radicali italiani venti anni fa, nel 1999, poi altri si sono aggiunti, ma senza alcun risultato. Che si tratti di una sede inutile lo dimostrano i dati: il Parlamento di Strasburgo, un edificio costato 500 milioni di euro, viene aperto soltanto quattro giorni al mese. In totale, 48 giorni l’anno. Per i restanti 317 giorni è inutile, anche se i costi continuano a scorrere: il personale è presente, gli uffici vanno riscaldati, controllati, vigilati, tenuti in ordine.

Il costo di tutti questi servizi, secondo i calcoli di Mario Giordano, pubblicati nel libro «Non vale una lira», sono pari a 35,7 milioni l’anno, a cui vanno aggiunti altri 18 milioni di euro per trasportare ogni volta da Bruxelles a Strasburgo (409 Km), e ritorno, i documenti necessari per le rare sedute. In totale: 53,7 milioni di euro, più di un milione a seduta, a carico dei contribuenti europei. Il tutto senza contare le «indennità di missione» per i parlamentari e i funzionari che si devono spostare da una sede all’altra, circa 3.300 euro al mese. Soldi che vanno ad aggiungersi a stipendi da favola: 6 mila euro netti al mese per un usciere, 9 mila per un archivista, 10 mila per gli assistenti e 16 mila per i funzionari. Ovviamente con una tassazione agevolata dell’8 per cento, ampiamente compensata dai benefit, tanto che in molti casi lo stipendio netto dei dipendenti Ue è superiore al lordo. Ecco, se voleva battere Macron e centrare il bersaglio con una mossa populista, la signora AKK ci è riuscita.

(articolo pubblicato su Italia Oggi)

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