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Ecco le macerie nei partiti dopo la riconferma di Mattarella

Mattarella bis: la spaccatura più evidente è quella del centrodestra. Ma anche il centrosinistra, con Cinque Stelle e il Pd, non può cantare vittoria. La nota di Paola Sacchi.

 

Gianfranco Rotondi la mette cosi: “È finita zero a zero”. Vicepresidente del gruppo di Forza Italia alla Camera, sostenitore della prima ora della candidatura di Silvio Berlusconi al Colle, da cui il Cavaliere si è poi ritirato, ma soprattutto ex democristiano doc, con sereno distacco fotografa quella sul Quirinale come una partita che di fatto la politica non ha giocato. Tutti ringraziano per la sua “generosità” il rieletto presidente Sergio Mattarella con 759 voti, il Capo dello Stato più votato della storia repubblicana dopo Sandro Pertini. Ma i sei giorni di Montecitorio con scrutini andati a vuoto e un venerdì di caos lasciano uno strascico che pesa nei partiti e negli schieramenti.

La spaccatura più evidente è quella del centrodestra. Ma anche il centrosinistra, con Cinque Stelle e il Pd, non può cantare vittoria. E questo nonostante gli applausi per Enrico Letta dei suoi in Transatlantico che ha esternato la soddisfazione di non averla data vinta agli avversari politici. Ai quali sono stati opposti “solo veti, compresi quelli su Elisabetta Belloni, nome propostomi da Letta e Conte”, rivela Matteo Salvini, togliendosi un sassolino dalla scarpa. E uno scontro si consuma nella già divisa galassia pentastellata tra Luigi Di Mario e Giuseppe Conte. In realtà, è nel parlamento tra i grandi elettori di un bel pezzo di Pd, contrario all’ipotesi di Mario Draghi dietro la quale Letta si era trincerato, e in gran parte dei Cinque Stelle che, votazione dopo votazione, ha iniziato a prendere corpo il bis di Mattarella.

Proprio perché la richiesta nasce dal parlamento sono stati i capigruppo dei partiti della maggioranza a recarsi dal Presidente della Repubblica per pregarlo di restare. “È la differenza con quanto accadde con la rielezione di Giorgio Napolitano quando a chiedergli il bis furono i leader dei partiti”, fa notare il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti, che fin dall’inizio è rimasto sempre attestato sulla previsione che Mattarella sarebbe succeduto a se stesso. Viene quindi cristallizzata la situazione con lo stesso Presidente della Repubblica e con lo stesso premier.

Ma, pur non essendoci né vinti né vincitori, chi ne esce lo stesso più in difficoltà è il centrodestra. Matteo Salvini, che in serata fa una telefonata di “gratitudine” a Mattarella, scelta “di assoluta garanzia, tranquillizzante”, può rivendicare il fatto che il suo ok è stato decisivo, ha oggettivamente sbloccato lo stallo, può rivendicare il fatto che la Lega ancora una volta “si è assunta una grande responsabilità”, come quella di entrare nel governo Draghi un anno fa. Ma la spaccatura della coalizione è sul piano plastico quella più evidente rispetto alle lotte e alle crepe interne al centrosinistra. Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, si smarca da Salvini subito via social con un duro “Non ci posso credere”, parla di “forzature costituzionali” e invoca la riforma presidenziale. È molto dura: “Il centrodestra parlamentare non c’è più, c’è il centrodestra che è maggioranza nel Paese. Evidentemente bisogna ricominciare daccapo”.

E intanto pesa su Forza Italia e le formazioni centriste in particolare l’incidente che ha visto venir meno a Elisabetta Alberti Casellati, di provenienza berlusconiana doc, seconda carica dello stato, 70 voti dalla stessa coalizione che aveva portato il suo nome al voto. “Sono venuti meno pezzi di centrodestra”, dice chiaramente il leader della Lega. Rotondi, che con Salvini spesso non è tenero, si smarca da un certo clima che tende a fare dell’ex ministro dell’Interno, ufficialmente incaricato di trattare per la coalizione, una sorta di capro espiatorio. E riconosce con l’aplomb dell’ex dc: “Ma che doveva fare? Era una situazione davvero difficile, ingestibile, nella quale chiunque di noi avrebbe sbagliato”. Stefania Craxi, senatrice di FI e vicepresidente della commissione Esteri, auspica che “ora il centrodestra ritrovi unità d’azione e di intenti”, parla di “crisi di sistema ” e della necessità di quella riforma presidenziale che “Bettino Craxi già riteneva necessaria nel 1979”.

Ora la Lega rilancia nell’azione di governo. Tornano a circolare in Transatlantico i soliti sospetti, amplificati spesso da sinistra e da un certo mainstream, di dissidi tra Salvini e il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, di cui addirittura si parlava di possibilità di dimissioni. Ma i due escono insieme da un incontro a Montecitorio e intercettati dai cronisti affermano che il problema è quello di “un cambio di passo” dell’esecutivo (Giorgetti). E Salvini: “Giancarlo non può fare il parafulmine degli attacchi (sembra alludere anche a quelli degli alleati della coalizione, ndr) per tutte le crisi aziendali”.

Riprende quota nel Palazzo, intanto, la discussione sul proporzionale, dopo la spaccatura del centrodestra. Ma Antonio Tajani, coordinatore di FI (che secondo I retroscena l’altra notte avrebbe incontrato i centristi delle formazioni minori per un ultimo tentativo su Pier Ferdinando Casini, il quale ieri però si è tirato fuori da qualsiasi ipotesi che lo riguardasse e ha caldeggiato il bis di Mattarella) spiega che l’obiettivo è quello di “rafforzare l’area popolare, garantista della coalizione”. Si attende il ritorno di Berlusconi.

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