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Ecco il programma socialista di Mamdani, nuovo sindaco di New York

Tesi, idee e programmi economici del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani

Zohran Mamdani, 34enne socialista, ha conquistato la poltrona di sindaco di New York con oltre il 50% dei voti, sconfiggendo l’ex governatore Andrew Cuomo e il repubblicano Curtis Sliwa.

Con un’affluenza record di oltre 2 milioni di elettori – la più alta in oltre 50 anni – Mamdani incarna un cambio generazionale e ideologico, diventando il primo sindaco musulmano, il primo di origini sudasiatiche e il più giovane della metropoli in più di un secolo.

Il suo programma ruota attorno all’accessibilità economica, con promesse di congelamento degli affitti, trasporti pubblici gratuiti e asili nido universali, finanziati da tasse sui ricchi.

Ma la vittoria solleva controversie, dal sostegno ai diritti palestinesi alle tensioni con la comunità ebraica, mentre cittadini e investitori attendono con un misto di entusiasmo e scetticismo l’impatto su una città alle prese con inflazione, criminalità e un presidente Trump ostile.

CHI E’ ZOHRAN MAMDANI

Zohran Mamdani, nato in Uganda nel 1991 da genitori accademici – la madre Mira Nair, regista nominata all’Oscar, e il padre Mahmood Mamdani, professore di colonialismo alla Columbia – si è trasferito a New York all’età di 7 anni.

Naturalizzato cittadino statunitense nel 2018, ha frequentato la Bronx High School of Science e il Bowdoin College, prima di lavorare come consulente per prevenire sfratti in un’organizzazione no-profit e persino come rapper.

Eletto all’Assemblea statale di New York nel 2020 per un distretto nel Queens, ha sponsorizzato poche leggi ma ha guadagnato visibilità con video virali sui social e un carisma che ha elettrizzato i giovani, come riporta il New York Times.

Da sconosciuto legislatore, è emerso come candidato populista, vincendo le primarie democratiche contro Cuomo con un margine di 13 punti, come scrive l’Associated Press.

COME SI E’ SVOLTA LA CAMPAGNA ELETTORALE DI MAMDANI

Partito da outsider, Mamdani ha costruito una coalizione eterogenea: giovani nei quartieri gentrificati come Bushwick e Williamsburg, immigrati sudasiatici nel Queens e comunità operaie nere e latine nel Bronx e Brooklyn.

Ha trionfato nelle primarie di giugno, capitalizzando il consenso dopo il ritiro del sindaco uscente Eric Adams per scandali di corruzione, e ha mantenuto lo slancio nella generale, vincendo quattro borough su cinque con margini fino a 50 punti in aree liberali, secondo il New York Times.

La sua campagna grassroots, finanziata da donazioni piccole, ha contrastato i super PAC di Cuomo, sostenuti da miliardari come Michael Bloomberg.

IL PROGRAMMA ELETTORALE

Mamdani ha incentrato la campagna sull’accessibilità in una città dove l’affitto medio per un monolocale supera i 3.400 dollari.

Tra le promesse chiave: congelamento degli affitti per oltre un milione di appartamenti stabilizzati, bus pubblici gratuiti (costo stimato 630 milioni annui, ma criticato perché il conto potrebbe arrivare a 1 miliardo secondo l’MTA), asili nido universali gratuiti, un Dipartimento di Sicurezza Comunitaria per inviare operatori sanitari mentali invece di polizia a certe emergenze, e cinque supermercati comunali per cibo a prezzi all’ingrosso, come elenca l’Associated Press.

Vuole alzare il salario minimo a 30 dollari l’ora entro il 2030, tassare il 2% sui redditi oltre 1 milione e l’11,5% sulle corporation, generando 9 miliardi, secondo Bloomberg.

Si ispira a Fiorello LaGuardia e al New Deal, promettendo di “rendere la città migliore ogni giorno”, come ha dichiarato nel discorso di vittoria citato dal Guardian.

LE POLEMICHE SU GAZA E ISRAELE

La candidatura di Mamdani è stata segnata da polemiche sul Medio Oriente. Sostenitore dei diritti palestinesi, ha accusato Israele di “genocidio” a Gaza e promesso di onorare i mandati della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu, come riporta l’Associated Press.

Cuomo lo ha attaccato sostenendo che renderebbe “insicuri” gli ebrei, vincendo l’80% nei quartieri ortodossi, secondo il Nyt.

Mamdani è stato definito da Trump”comunista lunatico” e minacciato di deportazione, nonostante possieda la cittadinanza. Il Council on American-Islamic Relations ha salutato la vittoria come “rifiuto dell’islamofobia”, come scrive il Guardian, ma critici come Elise Stefanik lo hanno etichettato “jihadista”.

CHE COSA SI ATTENDONO I CITTADINI DA MAMDANI

Oltre 2 milioni di votanti – record dal 1969 – riflettono un’onda di entusiasmo, con Mamdani che ha ottenuto il maggior numero di voti dai tempi di John Lindsay, come sottolinea il New York Times.

Lavoratori immigrati, giovani e comunità emarginate vedono in lui un mandato per la “classe operaia”, con slogan come “congelare gli affitti” e “bus gratuiti” urlati dalla folla al Brooklyn Paramount. Ana María Archila del New York Working Families Party, citata dal New York Times, definisce quella di Mamdami “vittoria degli insoddisfatti”,

Tuttavia, lo scetticismo aleggia: il salario minimo a 30 dollari potrebbe causare disoccupazione, e il congelamento degli affitti risultare”catastrofico” per i proprietari, secondo un report di Columbia citato dalla BBC. La governatrice Hochul si oppone alle tasse sui ricchi, rendendo incerte le coperture.

COMMENTI E REAZIONI DELLA FINANZA

Wall Street, cuore del capitalismo globale, osserva con apprensione un “socialista democratico” al timone.

Mamdani ha corteggiato i CEO nelle ultime settimane, formando un consiglio consultivo, come riporta il Financial Times. Ralph Schlosstein di Evercore elogia il turnout e invita a “unirsi”, mentre Bill Ackman offre aiuto nonostante avesse fatto donazioni a Cuomo.

Ma gli hedge fund temono tasse che erodano la competitività: un manager anonimo lamenta il “socialismo nella capitale capitalista”, secondo Reuters.

L’agenda sull’accessibilità è vista come acceleratore per la qualità della vita e i cittadini che vivono in affitto, ma la promessa di Mamdami di aprire supermercati comunali viene considerata “irrealistica” mentre le tasse preoccupano i piccoli imprenditori, avverte David Schwartz della NYAGS.

L’Economist avverte di un “viaggio nostalgico al passato” pre-crisi fiscale 1975, con promesse “instabili”.

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