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Germania Merkel Cina

Ecco gli Stati che non piangeranno per la fine dell’egemonia di Merkel in Germania

L'articolo di Tino Oldani, firma del quotidiano Italia Oggi

Stiamo forse esagerando, noi italiani, con le critiche alla signora Angela Merkel? Me lo chiedevo ieri, leggendo gli articoli dedicati all’addio della cancelliera alla politica, triste e delusa per la batosta elettorale subita anche nell’Assia. Poi ho fatto mente locale alla serie di attacchi piovuti negli ultimi tempi sulla Germania da tutti i punti cardinali d’Europa: da nord (Brexit), da est (Visegrad), da ovest (Francia) e da sud (Italia e Grecia). Una grandinata di accuse di ogni tipo, dalla bocciatura dell’austerità fino alla censura per non avere mai pagato i danni della seconda guerra mondiale, alle quali si devono aggiungere le sistematiche sferzate di Donald Trump, compreso l’ultimo rapporto del dipartimento del Tesoro Usa sul dumping valutario tedesco come leva del surplus commerciale (vedi ItaliaOggi di ieri).

Insomma, tante tessere di un mosaico che, messe insieme, lasciano intravedere due aspetti forse decisivi per la scelta della Merkel: perdita di autorevolezza in Europa e isolamento crescente sul piano internazionale. Un gap letale per chi deve guidare il primo paese d’Europa per importanza economica. Tanto più quando scopri che, a tirare le ultime sassate contro la cancelliera, sono scesi in campo perfino dei pesi mosca della politica europea, come la Grecia e la Polonia. È di ieri la notizia che la Grecia di Alexis Tsipras sostiene di avere subito un grave rallentamento del proprio sviluppo economico a causa dei danni provocati dall’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale. Danni di guerra mai ripagati dalla Germania, per cui Atene avrebbe maturato un credito di 299 miliardi di euro. Guarda caso, una somma di poco inferiore al debito nazionale (317 miliardi).

La richiesta greca fa seguito a quella avanzata domenica scorsa dal presidente polacco Andrzej Duda in un’intervista alla Bild am Sonntag: «Le riparazioni di guerra non sono un argomento chiuso. Varsavia è stata rasa al suolo: i primi risultati degli esperti dicono che non siamo mai stati ricompensati». Secondo il partito sovranista polacco Diritto e Giustizia, il debito tedesco per l’invasione della Polonia sarebbe pari a 690 miliardi di euro. Ovvero più dei 500 miliardi spesi da Berlino per salvare le sue banche dal 2008 a oggi. Da notare che il presidente Duda aveva toccato lo stesso argomento pochi giorni prima, durante un incontro ufficiale con il presidente della repubblica tedesco, Frank-Walter Steinmaier, provocando una forte irritazione di quest’ultimo: per Berlino, la Polonia ha rinunciato a ogni indennizzo di guerra nel 1953.

I danni di guerra non sarebbero stati l’unico terreno di scontro tra i due presidenti. La Germania, ha fatto notare Steinmaier, disapprova la riforma della magistratura con cui Varsavia vorrebbe sottoporre i tribunali al controllo politico. Per tutta risposta, Duda ha preso le distanze dal «concerto delle principali potenze» all’interno dell’Ue, grazie al quale i paesi più forti dominano gli altri, affermando: «Non vogliamo essere vassalli». Posizione, quest’ultima, condivisa dagli altri tre paesi del gruppo di Visegrad: Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, tutti insofferenti dell’egemonia tedesca in Europa.

Quanto al Regno Unito e al suo scarso feeling con la Merkel c’è poco da aggiungere a quanto è già risaputo: la maggioranza degli inglesi ha votato per la Brexit, giusta o sbagliata che sia, come reazione all’egemonia tedesca sull’Unione europea, e il governo guidato da Theresa May non ha alcuna intenzione di tornare indietro, né di cedere alle richieste economiche avanzate dalla Commissione Ue (su input di Berlino) come biglietto di uscita.

Nonostante l’asse Berlino-Parigi sia da anni il fulcro delle decisioni che contano in Europa, e nonostante Emmanuel Macron e Angela Merkel abbiano firmato insieme la Dichiarazione di Meseberg come testo base per la riforma dell’Unione europea, in Francia si sta ingrossando sempre più un fronte politico trasversale anti-tedesco, che va dalla destra di Marine Le Pen alla sinistra di Jean-Luc Mélenchon. Di recente, dando per scontato l’orientamento della Lepen, la rivista German Foreign Policy si è soffermata sulle ripetute uscite anti-Merkel di Mélenchon, che nelle elezioni presidenziali del 2017 prese il 19,6 per cento, mancando di poco il ballottaggio con Macron. In sintesi, ecco il Mélenchon pensiero: basta con l’austerità di Berlino, che minaccia di distruggere il modello di welfare francese; basta con la crescente militarizzazione della Germania portata avanti dalla Merkel, in contrasto con le sue stesse dichiarazioni iniziali, quando voleva «costruire un’Europa della pace»; no chiaro e forte ai piani tedeschi per fare della Germania una potenza nucleare, partecipando al nucleare militare francese; maggiore impegno francese per contrastare l’egemonia del personale tedesco nelle posizioni chiave dell’Unione europea. Infine, un appello bomba: «La Francia esca da tutti i trattati europei», in quanto non ci sarebbe alcun miglioramento in vista.

Per 13 anni la Merkel ha operato con successo, dal punto di vista tedesco, per tenere insieme l’Unione europea, che domina e da cui ha tratto grandi vantaggi economici, a scapito dei vicini alleati. Ma ora quelle che i tedeschi chiamano «forze politiche disgregatrici», oppure «sovranisti» o «populisti», si sono fatte sempre più forti, e reclamano un’Europa diversa, più democratica e non più succube di un unico paese. L’uscita di scena della Merkel ne è la prima conseguenza, e prefigura un doppio scenario, che sarà al centro delle prossime elezioni europee: continuismo dell’egemonia tedesca con nuovi protagonisti, forse con i popolari alleati ai Verdi neovincenti; oppure un cambiamento epocale dell’Ue dettato dai sovranisti e dalle destre, che per ora è poco più di uno slogan, una terra davvero incognita.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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