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Panzeri

Ecco come Panzeri elogiava il Qatar

Che cosa scriveva nello scorso febbraio per Huffington Post Italia Antonio Panzeri, ex europarlamentare prima del Pd e poi di Articolo 1, sul Qatar

“Anche in Qatar il processo di affermazione dei diritti è ancora in itinere e va seguito e rafforzato, riguardo alle donne, i lavoratori immigrati (che sono il 90% dell’intera forza lavoro), le minoranze. Ma, appunto, “le gambe” sono in movimento forse nella direzione giusta e possono contribuire a essere riferimento e sollecitazione anche per i paesi vicini, trasformando la competizione, a tratti aspra, in un percorso positivo e virtuoso”. E’ quello che scriveva su Huffington Post Italia Antonio Panzeri, ex europarlamentare prima del Pd e poi di Articolo 1, come presidente dell’associazione Fight Impunity.

L’INDAGINE SU PANZERI E QATAR

“Da diversi mesi gli investigatori della polizia giudiziaria sospettano che uno Stato del Golfo (il Qatar, ndr) abbia cercato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo”, ha confermato la procura federale di Bruxelles.

QATAR, I NOMI COINVOLTI (NON SOLO PANZERI)

A casa della vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, ora agli arresti, sono state trovate borse piene di banconote. Kaili è stata espulsa dal partito socialista Pasok in Grecia e sospesa dalla presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola. Anche l’ex parlamentare Ue Antonio Panzeri (Pd, poi Articolo 1), fermato a Bruxelles, è sospettato – come presidente dell’associazione Fight Impunity – di aver agito a beneficio di Qatar e Marocco in cambio di denaro. La moglie e la figlia sono ai domiciliari. L’esponente di Articolo 1 è stato espulso dal partito.

CHE COSA DICEVA KAILI SUL QATAR

Fino a pochi giorni fa la vice presidente del Parlamento europeo Kaili ha difeso in aula i progressi del Paese del Golfo nell’ambito dei diritti in vista dei Mondiali di calcio in corso.

“Oggi i Mondiali in Qatar sono la prova, in realtà, di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un Paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Io da sola ho detto che il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori, abolendo la kafala e riducendo il salario minimo. Nonostante le sfide che persino le aziende europee stanno negando per far rispettare queste leggi, si sono impegnati in una visione per scelta e si sono aperti al mondo. Tuttavia, alcuni qui stanno invitando per discriminarli. Li maltrattano e accusano di corruzione chiunque parli con loro o si impegni nel confronto. Ma comunque, prendono il loro gas. Tuttavia, hanno le loro aziende che guadagnano miliardi lì”, ha detto nel suo intervento a Strasburgo.

“Ho ricevuto lezioni come greca e ricordo a tutti noi che abbiamo migliaia di morti a causa del nostro fallimento per le vie legali di migrazione in Europa. Possiamo promuovere i nostri valori ma non abbiamo il diritto morale di dare lezioni per avere un’attenzione mediatica a basso costo. E non imponiamo mai la nostra via, noi li rispettitamo, anche senza Gnl”, ha aggiunto. Sono una nuova generazione di persone intelligenti e altamente istruite. Ci hanno aiutato a ridurre la tensione con la Turchia. Ci hanno aiutato con l’Afghanistan a salvare attivisti, bambini, donne. Ci hanno aiutati. E sono negoziatori di pace. Sono buoni vicini e partner. Possiamo aiutarci a vicenda per superare le carenze. Hanno già raggiunto l’impossibile”, ha concluso.

QUANDO LO SCORSO FEBBRAIO PANZERI ELOGIAVA QATAR

Ecco che cosa scriveva Panzeri solo pochi mesi fa, nel febbraio del 2022, su Qatar e non solo, in un commento su Huffington Post Italia di cui è una firma:

“L’etichetta “passe-partout” di terrorismo è stata spesso apposta – di nuovo: con minore o maggiore fondatezza o plausibilità – non solo a singole persone ma a interi paesi, talvolta per giustificarne l’invasione o il rovesciamento dei regimi. Qui la storia recente richiama alla memoria il caso dell’Afghanistan o della Libia o il teso confronto da tempo in corso tra Stati Uniti ed Iran.

Forse meno noto è il caso del Qatar, contro il quale alcuni degli altri paesi che si affacciano sul Golfo Persico, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, unitamente all’Egitto, avevano avviato un boicottaggio politico ed economico nel 2017. Anche in quel caso l’accusa era stata di “sostegno al terrorismo”. Accusa estesa anche ad “Al-Jazeera”, emittente qatariota assai diffusa e seguita nel mondo arabo.

In questo caso, forse più che in altri, appare evidente come il richiamo al terrorismo diventi strumentale a un confronto di potere e di leadership nella delicata e strategica area, centrale nella estrazione e produzione di petrolio e gas.

Se volessimo raffigurarci quei paesi e gli attori maggiori come un medesimo corpo, data la loro contiguità fisica e geografica ei similari processi storici, semplificando potente individuare negli Emirati la testa, nell’Arabia Saudita il busto e nel Qatar le gambe. Dalla prospettiva dei diritti umani, analizzando le dinamiche socio-politiche e le scelte dei rispettivi governi negli anni più recenti, si può osservare come siano state le gambe a imprimere un movimento e una direzione evolutiva, mentre sia il busto che la testa sono rimasti immobili e semmai voltati all’indietro.

L’elezione di Biden a presidente USA e la sua politica tesa a ridefinire i rapporti del golfo, in particolar modo con l’Iran, ha indotto la stessa Arabia Saudita a reincludere il Qatar nel Consiglio di Cooperazione del Golfo, forse anche “pentita” dalla rottura diplomatica da essa stessa impostazione nei confronti di questo paese, verso il quale solo pochi anni addietro aveva rivolto un nutrito cahiers de doléancese di pressioni che, a loro volta, dati la sua mancata sottomissione, avevano determinato le pesanti sanzioni che hanno colpito gli approvvigionamenti persino di beni di prima necessità ma che non hanno piegato il paese, sempre più insofferente rispetto ai tentativi egemonici dei regnanti sauditi ed emiratini e in cerca di un nuovo ruolo e di alleanze forti a livello globale. Come quella con gli Stati Uniti di Joe Biden, dopo l’emarginazione portata dalle scelte strategiche del suo predecessore. Trump aveva infatti espresso sostegno preferenziale ai sauditi ed emiratini nel quadro del Patto di Abramo con Israele, da lui stesso promosso. Con i paesi del Golfo intercorrono fortissimi interessi finanziari, energetici e connessi all’export di armamenti: a livello mondiale, se gli Stati Uniti sono il primo esportatore di armamenti,

Ora, dopo l’incontro con l’emiro Sheikh Tamim Bin Hamad Al-Thani dello scorso 31 gennaio, Biden è stato netto nel riconoscimento della partnership strategica tra Stati Uniti e Qatar e nel volerlo designare quale maggiore alleato non NATO. Naturalmente, anche questo importante passaggio politico e diplomatico che potrà modificare gli scenari nel Golfo e, in essi, il peso del Qatar, è stato sigillato e reso possibile anzitutto dagli interessi economici: nello specifico, la firma di un accordo da 20 miliardi di dollari tra Boeing e Qatar Airways Group (cfr. il comunicato della Casa Bianca ).

Assieme, ha certo contribuito il fondamentale appoggio fornito dal Qatar alla soluzione della lunga guerra afgana, facilitando il dialogo e l’accordo di Doha con i talebani del febbraio 2020 ed, infine, col supporto logistico al ritiro delle truppe statunitensi nell’estate 2021. Non ultima, ha influito la diplomazia del gas, con la disponibilità del Qatar verso l’Europa nella crisi attuale delle forniture di gas russo e nello scivoloso quadro in evoluzione in Ucraina.

Sul piano dei diritti umani e sociali in Qatar qualche passo in avanti è stato fatto, ad esempio riguardo il sistema semi-schiavistico della kafala – ora abolito in Qatar e invece solo mitigato in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman –, ed è in corso, mentre nei paesi rivali si può semmai parlare di “human rights-washing”, di un abbellimento dell’immagine cui non fanno adeguatamente riscontro modifiche sostanziali.

Anche la questione denunciata dal quotidiano britannico “ The Guardian ”, riguardo al numero dei lavoratori morti durante la costruzione delle infrastrutture che ospiteranno i Mondiali di calcio di questo 2022 va guardata in controluce e statisticamente relativizzata, anche se deve risultare chiaro che ogni vittima sul lavoro è un dramma, occorre fare di tutto per prevenire ed evitare ogni singola morte. Forse puo’ rappresentare una novità al riguardo, la nomina a Ministro del Lavoro del Presidente della Commissione Nazionale per i diritti umani del Qatar.

Naturalmente, anche in Qatar il processo di affermazione dei diritti è ancora in itinere e va seguito e rafforzato, riguardo alle donne, i lavoratori immigrati (che sono il 90% dell’intera forza lavoro), le minoranze. Ma, appunto, “le gambe” sono in movimento forse nella direzione giusta e possono contribuire a essere riferimento e sollecitazione anche per i paesi vicini, trasformando la competizione, a tratti aspra, in un percorso positivo e virtuoso. Per tutto ciò, servirà avere una grande consapevolezza che la strada per rafforzare i diritti umani deve essere senza ritorno e non condizionata ai mutamenti del quadro geopolitico della regione”.

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