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Centrodestra

Ecco come i riformisti del Pd rimbrottano Elly Schlein

Tesi e critiche che emergono dal documento di Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini, i riformisti del Pd. La nota di Paola Sacchi

 

Il documento dei riformisti del Pd, Stefano Ceccanti, Enrico Morando, Giorgio Tonini, pubblicato l’altro ieri da Repubblica.it, è stato come un sasso nello stagno del malessere dei cosiddetti moderati dem, tra critiche e abbandoni. I tre esponenti, anche animatori dell’associazione “Libertà Eguale”, sono da sempre la coscienza critica riformista della sinistra. Ma toni e parole in cui dicono alla leader del Pd Elly Schlein, no “a un regresso verso un antagonismo identitario”, no alle tentazioni “aventiniste” sulle riforme istituzionali per non regalare al centrodestra “il patrimonio di proposte” che è stato dell’Ulivo e poi del Pd, sono più netti ed espliciti del solito.

L’esortazione è quella di costruire una “credibile proposta di governo” e non, in sostanza, di rincorrere i Cinque Stelle per prendere percentuali in più. Il costituzionalista Ceccanti in un’intervista all’Agi, di ieri sera, sottolinea: “Niente strappi”, ma “tra l’unanimismo e il nulla” esorta alla necessità che ci siano “dibattiti anche vivaci”, che non significano “strappi in parlamento”.

Dunque, facendo riferimento al Labour party, discussioni come quelle che ci furono tra il radicale Corbyn e il moderato Starmer, poi “disciplina di voto con la segreteria”. Ma “ai riformisti va data agibilità”. Ceccanti, Morando e Tonini nel documento affermano che è un “dovere far vivere visione e proposta alternativa a quella di Schlein”. Spiegano: “La segretaria Schlein ha pieno diritto di tentare di realizzare la piattaforma politico-culturale e programmatica con cui ha vinto il congresso. Noi, che abbiamo limpidamente avversato quella piattaforma, mettendo in evidenza il rischio di un regresso verso un antagonismo identitario incoerente con la natura stessa del Pd come partito a vocazione maggioritaria, abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di far vivere (e di far percepire all’esterno del partito) una visione, una cultura politica e una proposta programmatica distinta e, per molti aspetti, alternativa a quella di Schlein”.

I tre ex parlamentari del Pd di area riformista dicono subito: no alle scissioni ma anche no a escludere chi non è d’accordo. Sostengono: “Sono da evitare come la peste sia le scissioni ad opera di minoranze sconfitte in regolari Congressi, sia le sollecitazioni ad accomodarsi fuori rivolte da maggioranze inconsapevoli ed arroganti a chi non condivide la linea politica e le scelte del leader pro-tempore”.

Quando “Schlein – proseguono – sembra tentata in tema di riforme istituzionali dal rifugiarsi nell’Aventino, con il fallace argomento che non si tratterebbe di questione prioritaria nell’agenda del Paese, tocca a noi riformisti un’aperta contestazione di una scelta che contraddicendo una delle architravi della piattaforma del Pd e, prima ancora, dell’Ulivo del 1996, finirebbe per trasferire gratuitamente alla destra un patrimonio di riformismo istituzionale costitutivo dell’identità stessa del Partito democratico”.

“Certo, Schlein può ignorare queste sollecitazioni della minoranza riformista e proseguire sulla sua strada”, scrivono ancora, ma “sarà un peccato, perché per questa via il Pd potrà forse recuperare qualche punto percentuale a danno del M5S, ma non riuscirà a ridurre la distanza rispetto a Meloni sul terreno che conta davvero: la credibilità della proposta di governo”. “Il timore di non riuscire a modificare l’orientamento di Schlein non può tuttavia indurci al silenzio rassegnato della fase post-congressuale: c’è una larga parte dell’elettorato di centrosinistra che ha bisogno di un riferimento solido, e oggi non lo trova. I riformisti del Pd, con una visibile battaglia delle idee all’interno del partito, possono fornirglielo”, concludono.

I tre esponenti riformisti, nel documento, contestano anche il fatto che il merito sia demonizzato nel Pd. Morando, a tal proposito, nell’appuntamento annuale di Orvieto nell’autunno scorso aveva ricordato l’elaborazione del Psi di Craxi su “Meriti e bisogni”. Quanto alle riforme, i tre ricordano che già l’Ulivo nel ’96 era a favore di una indicazione del governo al momento del voto.

Con l’Agi Ceccanti torna sull’obiettivo dell’appello: dare spazio e agibilità politica a chi non è convinto dalla posizione della segreteria del Pd, senza per questo arrivare a “strappi” traumatici. Afferma il costituzionalista dem: “Ci sono diversi temi su cui la posizione della segreteria non convince tutti. È legittimo: Schlein ha vinto il congresso e ha diritto a portare avanti la propria proposta”. Tuttavia, aggiunge, “durante il congresso è emersa una proposta politica e culturale che ha piena cittadinanza dentro il Pd e che, in modo aggiornato, deve vivere”. Questa proposta è quella rappresentata dalla ex mozione Bonaccini. “Il presidente Bonaccini ha giustamente altre priorità tanto più oggi, glielo chiedono i cittadini che governa”, spiega Ceccanti riferendosi all’emergenza in Emilia-Romagna che vede il governatore e presidente del Pd in prima linea. E, tuttavia, “bisogna dare spazio a chi non condivide questa impostazione. C’è la richiesta di fare vivere un altro paradigma culturale e politico. Noi riteniamo che il Pd sia un partito contendibile. E che sia un bene che nel Pd vivano permanentemente proposte alternative a quelle della segreteria pro tempore”.

Questo non significa per Ceccanti che debbano arrivare ‘strappi’ nei passaggi parlamentari o, peggio, fuoriuscite. Al contrario, “si può, anzi si deve votare in Parlamento in linea con le indicazioni della segreteria, salvaguardando la discussione interna. I partiti a vocazione maggioritaria sono fatti di disciplina nel voto, ma di libertà nelle espressioni interne. Anche Corbyn, nel Labour, veniva criticato dall’area che faceva riferimento a Keir Starmer, ma poi tutti votavano insieme in Parlamento”. Il Keir Starmer del Pd, mutatis mutandi, chi potrebbe essere?, chiede l’Agi. Ceccanti: c”Non è una questione attuale, né di preservare correnti precedenti. Oggi Bonaccini ha le sue esigenze, anche immediate. Ma un partito grande come ha osservato Arturo Parisi non pone i propri aderenti ed elettori tra un congresso e l’altro di fronte all’alternativa tra l’unanimismo o il nulla, vuoi come scissioni vuoi come abbandoni. Disciplina intorno a chi ha vinto e vitalità anche spregiudicata di dibattito devono andare insieme “, conclude il costituzionalista e ex deputato dem, che già votò tre sì con altri della sua area ai referendum sulla giustizia di Lega e Radicali.

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