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Matteo Renzi

È iniziata la caccia giudiziaria a Matteo Renzi? I Graffi di Damato

Che cosa pensa il notista politico Francesco Damato delle iniziative giudiziarie che riguardano la ex fondazione Open di Matteo Renzi

Un amico e sostenitore di Bettino Craxi come mi vanto di essere stato, e di essere ancora di fronte agli insulti che molti avversari continuano a rivolgergli anche a quasi vent’anni dalla morte in terra accogliente ma straniera, dove si rifugiò per non subire in Italia un carcere che riteneva di non meritare essendone peraltro stato, dopo Alcide De Gasperi, uno dei migliori presidenti del Consiglio, dovrei essere umanamente e politicamente tentato dal compiacimento, o qualcosa di simile, per la caccia giudiziaria scatenatasi, col solito supporto mediatico, contro Matteo Renzi. Che con la memoria di Craxi, pur avendone in qualche modo raccolto i tentativi di ammodernare la sinistra e il sistema istituzionale del Paese, è stato ingiusto e sgradevole definendola “diseducativa”, per non dire altro. Invece non ho né la tentazione né il proposito del contrappasso, vedendo nelle vicende giudiziarie dei due uomini politici, e nel trattamento giornalistico, contesti o coincidenze temporali e politiche a dir poco curiose, se non inquietanti.

Craxi entrò in quella che sarebbe poi diventata una bufera giudiziaria senza scampo, se non il rifugio in Tunisia, o la latitanza, come preferiscono definirla i suoi irriducibili nemici, anche in morte, mentre il socialismo, di cui era il leader incontrastato in Italia, vinceva la sua storica battaglia contro il comunismo, che lo aveva sempre voluto o subalterno o in galera. Craxi inoltre, nell’alternanza che regolava nell’epoca del cosiddetto pentapartito i rapporti di alleanza con la Dc, in assenza anche dei numeri per un’alternativa di sinistra, si accingeva a tornare a Palazzo Chigi dopo i cinque anni di una legislatura in cui vi si erano succeduti i democristiani Giovanni Goria, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti.

Saranno state coincidenze casuali, dannatamente casuali, come dissero i magistrati che se ne occuparono e i politici che ne sostennero l’azione anche negli eccessi e straordinarietà “senza pari”, riconosciuti per iscritto dieci anni dopo la morte del leader socialista dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ma quelle furono le circostanze in cui si svolse l’azione giudiziaria contro il mio amico. Di cui peraltro toccai con mano, andandolo a trovare più volte nella casa di Hammamet, la quasi ruggine dei rubinetti che dovevano essere d’oro nella rappresentazione degli avversari. Nè trovai traccia -vi giuro- della fontana del Castello Sforzesco di Milano che, sempre per i suoi nemici, vi sarebbe stata trasportata negli anni del potere. Vidi invece con i miei occhi le piaghe da diabete sui piedi di Bettino, che l’allora sostituto procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro in un’aula del tribunale di Milano aveva liquidato come “foruncoloni” contestando i certificati medici.

Matteo Renzi è entrato nella bufera personale, dopo le disavventure giudiziarie dei genitori, per presunti brogli o simili della fondazione finanziatrice delle sue legittime iniziative politiche dopo essere uscito dal Pd ed essersi messo in proprio con un partito chiamato Italia Viva. Egli inoltre partecipa all’attuale maggioranza di governo, peraltro da lui stesso promossa quando stava ancora nel Pd, con una certa autonomia e obiettiva confusione, diciamo cosi, non gradite ad altre componenti della coalizione giallorossa. Che tuttavia, quanto a confusione di propositi e di azioni, come sta dimostrando il cammino parlamentare della legge di bilancio, manovra finanziaria e quant’altro, per non parlare dei problemi internazionali e industriali, fanno al partitino di Renzi una certa concorrenza, a dir poco.

In più, quasi per una circostanza aggravante sul piano politico, l’ex segretario del Pd, ex presidente del Consiglio, ex sindaco di Firenze ed ora semplice “senatore di Scandicci”, come ama definirsi con falsa e stucchevole modestia, è pubblicamente impegnato giorno e notte, anche nelle feste, ad aumentare con adesioni provenienti da ogni direzione la consistenza dei suoi nuovi gruppi parlamentari, a Palazzo Madama e a Montecitorio, in assenza di elezioni anticipate alle quali lui stesso è fra i più contrari con diverse motivazioni, coinvolgenti persino la scelta del nuovo capo dello Stato nel 2022, l’anno prima della scadenza ordinaria della legislatura.

In questa ricerca di nuove adesioni, di cui gli avversari elencano con precisione precedenti penali e simili, per quanto se ne possa dissentire, Renzi ha dalla propria parte un articolo della Costituzione, il numero 67, neppure toccato dalla sua riforma costituzionale clamorosamente, e direi anche rovinosamente, bocciata nel referendum del 2016. Esso dice: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita la sue funzioni senza vincolo di mandato”. Ne dissentono i grillini, d’accordo, ma pazienza. Da soli essi non hanno ancora, e credo che non l’avranno mai, visti gli umori del Paese che emergono da ogni tipo di appuntamento elettorale, la forza per cambiare quell’articolo non certo secondario della Costituzione repubblicana in vigore dal 1948.

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