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sentenza regno unito donna

Due sessi per natura. E per legge

La Corte suprema del Regno Unito ha stabilito che, ai fini della legge britannica, la definizione legale di donna si basa sul sesso biologico. La sentenza esclude quindi le donne transgender, anche se in possesso di certificati di riconoscimento di genere. Il corsivo di Battista Falconi

 

La sentenza della Corte suprema britannica sul sesso “binario” e sulla dipendenza di quello legale da quello biologico – semplificando: è donna solo chi nasce tale – sta ottenendo un comprensibile rilievo nelle cronache e nei commenti, poiché riaccende un tema già rovente a livello globale, come confermano le analoghe polemiche in corso in Italia o negli Stati Uniti. E perché ribadisce l’intreccio che si sta determinando alle più varie latitudini tra pronunciamenti della magistratura e scelte della politica: non è certo solo da noi che si consumano scontri o alleanze tra giudici, parlamentari, partiti ed esponenti di governo. Brasile, Europa, Corea del Sud, Usa ne sono, infatti, altrettanti teatri.

La sentenza britannica ci aiuta a capire come quello in atto sia uno scontro non semplicemente di potere ma di senso. Ciò che si demanda di decidere ai delegati eletti dai cittadini e/o alla giurisprudenza, al sapere del diritto, è proprio cosa sia giusto e addirittura cosa sia vero. In tal senso, di nuovo, la conclusione per lo meno provvisoria dell’iter aperto nel 2018 dal Parlamento scozzese – nelle quote rosa vanno incluse donne transgender, cioè ex uomini? – è paradigmatica.

A qualcuno risuonerà probabilmente, nell’immediato, la vicenda sportiva delle scorse Olimpiadi, quando a una boxeur italiana venne contrapposta una rivale decisamente androgena (ma mai stata uomo, come ingannevolmente alcuni media propalarono): un ring sul quale si scontrarono Cio e Federazione, con posizioni diverse. Tanto per dire quanto la questione sia dibattuta, divisiva, polarizzante e ideologica.

Ci sono solo due sessi naturali, è facile dirlo ma è anche fortemente impreciso. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che esistono solo due sessi sociali o culturali, se la si pensa così, ma pochi ce l’hanno. Si naviga pertanto in un mare di mezzo fatto di opinioni equivalenti, finché una non prevale con la forza della legge.

Ma la questione è ancora più ampia, profonda, complessa e contorta. Riguarda il posto, il ruolo che abbiamo nel mondo e la nostra scarsa disponibilità ad accettarlo, essendo venuti meno i dogmi della fede, della tradizione, della morale sociale, dell’autorità politica e istituzionale, della formazione scolastica, quelli appunto che stabilivano senza ombra di dubbio che ci fossero solo due sessi e quindi una mamma e un papà, per venire alla vicenda della carta d’identità italiana, anziché due generici genitori. Senza quei dogmi non soltanto si può voler essere Lgbtq+ e pretenderne il riconoscimento normativo ufficiale, ma si può anche analogamente chiedere di essere ricco, alto, biondo, amato, ammirato, seguito, riconosciuto. Oppure di nuovo e per sempre giovane, padre, madre. Tutto ciò che il tempo, la natura e la fortuna non ci hanno concesso o non permettono più.

Il conto di quanto l’elevazione del desiderio a diritto ci faccia soffrire è ancora in corso e durerà parecchio, dopo tanti decenni trascorsi dall’utopia che definiamo sessantottina ma che in realtà rimanda a un processo più lungo e profondo, nel cui solco si inseriscono socialismo, marxismo-leninismo, consumismo, secolarizzazione, laicizzazione. Le migrazioni sono il fenomeno sociale più rilevante in tal senso, milioni di uomini si spostano da una regione del pianeta all’altra attratti da prospettive vaghe di miglioramento, che spesso si ritorcono in una nuova schiavitù.

Dicevamo che il conto è in corso. Che se ne parla, se ne discute. Curioso che fulcro di queste riflessioni siano gli Usa di Donald Trump, cioè la terra che del mito di poter migliorare e cambiare la propria condizione di natura è stata la destinazione più ambita.

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