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Arnese

Poca Speranza dall’India, mistero coprifuoco, Draghi zittisce Ursula sul Pnrr

Fatti, nomi, numeri, curiosità e polemiche. I tweet di Michele Arnese, direttore di Start

 

POCA SPERANZA DALL’INDIA

 

LE NORME EXTRA DECRETI E ORDINANZE

 

DRAGHI ZITTISCE URSULA

 

COPRIFUOCO? CTS SA NULLA

 

IL ’68 SECONDO BARBARA ALBERTI

 

QUISQUILIE & PINZILLACCHERE

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL CORRIERE DELLA SERA SU DRAGHI, BRUXELLES E PNRR:

Ad un certo punto del pomeriggio Mario Draghi alza il telefono per la seconda volta in due giorni, richiama la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non alza la voce, ma manda un messaggio che chiude una trattativa estenuante, ruvida, segnata dalla diffidenza degli uffici tecnici di Bruxelles: «Non credo che dobbiamo fornire ulteriori spiegazioni, basta così. Ci vuole rispetto per l’Italia».

Il confronto con Bruxelles sull’ultima versione del Recovery plan è stato segnato da una serie di richieste sulle riforme che accompagneranno il Piano «piene di cavilli» e «di sfiducia nelle capacità del Paese» di implementarle.

Per tutto il giorno ha coordinato il lavoro dei tecnici del Mef e del suo staff economico sottoposti ai bombardamenti di spiegazioni ulteriori sulle riforme di attuazione del Recovery. Ci sono stati anche momenti di scontro vero con Bruxelles: hanno chiesto più dettagli sul contrasto al lavoro nero, sui tempi e i contenuti della riforma della giustizia, sulle semplificazioni delle procedure, su concorrenza e liberalizzazioni.

Su quest’ultimo punto è dovuto intervenire ancora una volta il presidente del Consiglio, con un messaggio diplomatico e al contempo molto fermo: «Non si può chiedere tutto e subito ad un Paese con un’economia in ginocchio». La riforma della concorrenza si farà, insieme alle altre, nel Pnrr sono indicati tempi e contenuti di almeno 15 fra decreti leggi e leggi delega di riforma del Paese nei prossimi mesi ed anni, con tanto di cronoprogramma.

La trattativa si conclude con l’accettazione delle garanzie che Draghi offre in prima persona. Nel Piano predisposto dal precedente governo c’era una sola pagina dedicata alle riforme di attuazione del Recovery, «oggi ce ne sono 40», mettono nero su bianco a Palazzo Chigi. Come dire: la Commissione apprezzi lo sforzo di riscrittura del Piano fatto dal governo Draghi, che «è stato molto profondo» rispetto a quello che si è ritrovato in mano quando si è insediato. È stata anche una corsa contro il tempo: domani il Recovery sarà presentato al Parlamento, poi spedito a Bruxelles nella sua ultima versione.

Fonti della Commissione coinvolte nella trattativa finale in qualche modo smentiscono la sfiducia nei confronti del nostro Paese, giustificano la grande richiesta di chiarimenti rivolta al governo italiano in questo modo: «In una settimana abbiamo dovuto fare con l’Italia quello che con altri Paesi europei abbiamo fatto in un mese, ma abbiamo applicato le stesse regole».

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DI FUBINI DEL CORSERA SUL CONFRONTO DEL PNRR FRA CONTE E DRAGHI:

Vale la pena di chiedersi in cosa il Pnrr del secondo sia diverso – o simile – rispetto alle bozze del primo. Risposta: c’è una buona dose di continuità nello scheletro e nella maggior parte dei progetti, mentre spiccano poche notevoli discontinuità. Gli stessi funzionari hanno scritto i due Pnrr, ma il cambio di stagione si avverte. Quanto sarà effettivo dipenderà però dal percorso sulle riforme dei prossimi mesi e anni.

Differenza del nuovo piano: ci sono più investimenti addizionali, rispetto a quelli che l’Italia programmava già da prima. Nel piano di Conte valevano circa 120 miliardi. Nel piano di Draghi valgono invece circa 166 miliardi, dei quali 31 localizzati in un “fondo complementare” di risorse tutte italiane (non europee) varato essenzialmente per finanziare vari progetti presentati dai ministeri che non sono riusciti a entrare nel Recovery. Un protagonista stagionato di questi anni paragona il fondo complementare “al cestino del computer: ci sono le voci in attesa di essere eliminate”. Ma, anche se in parte accadesse, i nuovi investimenti di Draghi superano quelli di Conte.

Restano uguali o quasi le sei grandi missioni del Recovery, dal digitale a “inclusione e coesione” e così quasi tutte le 16 componenti. Chiaramente il nuovo governo ha costruito sulla base del lavoro del vecchio. Ma c’è un maggior livello di dettaglio – riconosciuto anche dalla Commissione Ue – e si notano importanti deviazioni, in particolare nel lavoro dei ministri Roberto Cingolani (Transizione ecologica) e Vittorio Colao (Innovazione e digitale). Non solo per il fatto che il grosso degli aumenti di investimenti addizionali – circa venti miliardi – vanno nei loro progetti. Solo l’area del digitale, dalla banda larga alla cybersecurity, passa da sei a 13 miliardi. Ma in realtà l’area verde e tecnologica cambiano anche nel merito.

Colao ha imposto una novità in una delle partite più delicate: nella banda ultra-larga, si passa da un’unica gara nazionale con una sola azienda vincitrice a varie gare (forse fra dieci e 15) per i diversi territori. È l’approccio seguito anche negli Stati Uniti. Permette più concorrenza, il formarsi di diversi consorzi, stime più precise sulla fattibilità e aggira il problema di un blocco dell’appalto su tutto il Paese in caso di contenziosi. C’è poi molta più enfasi sui progetti dell’industria spaziale.

Anche Cingolani incide molto sulle somme: il portafoglio degli investimenti “verdi” passa dal 31% al 38% del totale, anche perché prima per Bruxelles era insufficiente. Ci sono poi alcuni cambiamenti nel merito. Si riduce da quattro a 0,5 miliardi la dotazione per i parchi solari galleggianti off-shore, per rafforzare invece un progetto che dovrebbe favorire il ripopolamento rurale e una maggiore creazione di posti: dall’“agri-voltaico” (pannelli solari nei terreni agricoli), alla digitalizzazione dei parchi, all’autoconsumo nelle aziende agricole.

Un punto debole dei piani di Draghi rispetto a Conte è però l’ingresso di tanti micro-progetti a volte discutibili. C’è uno “hub per il turismo digitale” da 100 milioni e ci sono 300 milioni per un fondo pubblico per le start up peraltro già ben finanziato da tempo.

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