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Decreto Aiuti Bis

E se il no di Draghi al bis fosse un ni?

I Graffi di Damato.

 

Ancora ieri su un giornale che non vuole sentirsi dare dell’”organo” del partito di Giuseppe Conte ma che ne riflette o anticipa spesso umori e cambiamenti di rotta si contestava all’odiato Matteo Renzi di avere proposto o previsto un Draghi bis rimediando “a stretto giro” una clamorosa e diretta smentita dell’interessato. Che in effetti in quella che potrebbe essere stata l’ultima conferenza stampa da presidente del Consiglio, almeno prima delle elezioni di domenica prossima, ha recentemente opposto un no secco all’ipotesi di una sua disponibilità per un “secondo mandato” a Palazzo Chigi. Dove ormai quasi avvertono l’ombra di Giorgia Meloni, dichiaratasi “pronta a governare” anche al Giornale della famiglia Berlusconi in una intervista titolata proprio così in prima pagina, con una perentorietà che potrebbe apparire persino in contrasto con la prudenza dello stesso Berlusconi. Del quale era apparsa qualche giorno fa addirittura “una bomba atomica” al Riformista di Piero Sansonetti l’avvertimento che Forza Italia non farà parte del governo, o ne uscirà in qualsiasi momento, se non ne risulterà chiara la linea europeista e atlantista.

E’ una bomba, quella attribuita a Berlusconi, che Matteo Salvini dal palco di Pontida, davanti ai trentamila o quarantamila leghisti accorsi alla ripresa del raduno tradizionale, dopo l’interruzione da Covid, non ha scambiato neppure per un petardo. Sia che vada lui, come mostra ancora di credere anticipandosi orgoglioso di una pur improbabile chiamata del presidente della Repubblica, sia che vada l’alleata, concorrente e amica leader della destra dichiaratamente conservatrice, Salvini si è detto convinto che Silvio, come lo chiama anche in pubblico quando ne parla, non costituirà un problema. La convergenza col fondatore di Forza Italia, e del centrodestra improvvisato nel 1994, sarebbe addirittura al 99 per cento. Apparterrebbe quindi al residuo 1 per cento anche il dissenso pubblicamente espresso da Berlusconi nei riguardi del voto contrario degli europarlamentari leghisti e meloniani alle sanzioni comunitarie in arrivo per l’Ungheria di Viktor Orbàn. Che non fa neppure più parte del Partito Popolare Europeo, di cui Berlusconi si considera il principale socio italiano.

Ma torniamo al presunto sbugiardamento di Renzi da parte di Draghi col no opposto in conferenza stampa alla sua disponibilità per un secondo mandato a Palazzo Chigi. Un no interpretato invece da Carlo Calenda – alleato di Renzi in un terzo polo elettorale pur non riconosciuto dalla Corte di Cassazione, secondo la quale ne esisterebbero solo due – come una risposta tanto obbligata quanto provvisoria, non essendosi ancora votato e tanto meno maturate le condizioni nelle quali potrebbe essere rigiocata la carta, appunto, di Draghi.

In effetti, se si vuole essere minimamente obiettivi, o non prevenuti, come preferite, e fatte le debite differenze fra la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quel no di Draghi è un pò parallelo a quello opposto – e a lungo – da Sergio Mattarella quando, ancor prima che cominciasse il cosiddetto semestre “bianco” e conclusivo del suo mandato, se ne prospettò e sollecitò anche nei teatri e nelle piazze il bis. Ricordate? Quasi per rafforzare il suo rifiuto Mattarella cominciò a cercare casa in affitto a Roma per trasferirvisi alla scadenza del settennato al Quirinale. E si lasciò sorprendere da fotografi e telecamere quando, individuatene una conforme per prezzo e dimensioni ai suoi bisogni, cominciarono i sopralluoghi personali e persino i trasferimenti di mobili anche dalla sua Palermo. Ricordate anche questo?

Draghi stesso – che pure in una cena al Quirinale, secondo indiscrezioni non smentite, lo aveva inutilmente sollecitato al bis, addirittura condizionando ad esso anche la sua disponibilità a proseguire il lavoro di presidente del Consiglio – finì per prendere tanto sul serio il rifiuto del capo dello Stato in scadenza da cadere in una mezza imboscata. Fu nella conferenza stampa di fine 2021, quando in risposta ad una domanda sulla sua disponibilità a succedere a Mattarella egli si definì “un nonno al servizio delle istituzioni”. Bastò e avanzò perché la trasparenza del presidente del Consiglio fosse scambiata per ambizione smodata o, peggio, per qualcosa di simile a un mezzo colpo di Stato, con l’inedito passaggio diretto di un uomo da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma quando più tentativi di una successione fallirono Mattarella si lasciò responsabilmente confermare.

Volete che, alla luce di quanto accaduto allora, che segnò anche l’inizio di un certo logoramento del suo governo oltre la misura normale di un epilogo di legislatura, Draghi potesse commettere nei giorni scorsi l’errore, l’imprudenza, l’ingenuità – chiamatela come volete – di mettersi in corsa per un secondo mandato a Palazzo Chigi? No, non lo poteva fare. Si potrà parlarne solo dopo le elezioni e il naufragio non so di quanti tentativi di governo, nel sospetto – fra l’altro – che quel 99 per cento di convergenze vantate da Salvini all’interno del centrodestra sia alquanto esagerato, diciamo così.

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