Senza voler togliere nulla, o più di tanto, alle tracce lasciate a Bruxelles da Romani Prodi, che ne guidò la Commissione esecutiva dal 1999 al 2004, due sono state davvero le nostre stelle nel firmamento dell’Unione Europea.
Prima è stata la volta di Mario Monti, commissario designato da più governi italiani, di diverso colore, particolarmente apprezzato dai tedeschi, anzi dalle tedesche. Che nei sondaggi lo avevano promosso a marito preferito per le loro figlie. Ed anche per questo forse, sotto sotto, chiamato nel 2011 al Quirinale da Giorgio Napolitano per interrompere anzitempo il quarto e ultimo governo di Silvio Berlusconi. Che gli passò allegramente a Palazzo Chigi la campanella del Consiglio dei Ministri prima di scoprire, denunciare e quant’altro -in verità, anche con qualche supporto autorevole negli Stati Uniti- di essere rimasto vittima di un mezzo colpo di Stato. Salvo poi contribuire alla rielezione del presidente che di fatto lo avrebbe compiuto, o vi si sarebbe prestato, come preferite. Un presidente -va detto anche questo- che poi sarebbe rimasto deluso, a dir poco, dalla decisione di Monti, nominato senatore a vita per alti meriti proprio allo scopo di tenerlo al di sopra delle beghe politiche, di partecipare con proprie liste di candidati alle elezioni ordinarie del 2013.
Poi si è illuminata nel firmamento europeo la stella italiana di Mario Draghi, anche lui passato per questo per Palazzo Chigi, ma senza laticlavio per esaurimento dei posti. Una stella, quella di Draghi, ancora luminosa, tanto che l’amico ed estimatore presidente francese Emmanuel Macron è impegnato neppure tanto dietro le quinte a spianargli per l’anno prossimo la strada della presidenza della nuova Commissione, o del nuovo Consiglio Europeo, se alla prima sarà confermata la tedesca Ursula von der Leyen: magari con la stessa maggioranza di centro sinistra dell’altra volta allargata ai conservatori di Giorgia Meloni: una specie di pentapartito italiano di una quarantina d’anni fa.
Pur escluso, come vedete, dal toto-Europa del 2024, l’ottantenne Monti è vigile. Oggi, per esempio, in un editoriale del Corriere della Sera ha avvertito che il nuovo patto europeo di stabilità in cantiere, per quanto intestabile al commissario europeo e suo amico -credo- Paolo Gentiloni, non va. O non va abbastanza bene. E ciò non tanto per gli interessi contingenti italiani, che potrebbero anche guadagnarci qualcosa, ma per le sorti complessive dell’Unione, frenate un po’ dalla crisi sopraggiunta nella sua ex preferita Germania e un po’ dall’illusione che noi europei possiamo davvero contare nel mondo senza una comune politica estera e una altrettanto comune difesa. Meglio quindi ritardare ancora la riforma del patto, scritto in passato “con l’accetta”, e ricominciare le trattative daccapo, in combinazione fra la Commissione e il Parlamento europeo ormai in scadenza. Delle due l’una: Monti o è diventato ottimista o si è distratto, magari disturbato dalla luce di Draghi.